3 marzo 2015: La cultura di sé

Nella maggior parte degli uomini l’intelligenza è un terreno che rimane incolto per quasi tutta la vita, anche se con l’immaginazione e il sentimento è ciò che meglio contraddistingue la nostra specie. La cultura di una vita interiore è lavoro, arte, scopo, che esige metodo, disciplina, costanza, sacrificio. Ma quanta serena felicità!
Prendere dalla filosofia di Epicuro e Seneca, dal miglior cattolicesimo, dalla spiritualità protestante del disinteresse per il premio (sola gratia), da saggi come Montaigne, Naudé, Delacroix, Nietzsche quanto può servire come esempio, norma, modello, tuttavia senza mai giurare sulle parole di nessuno.

28 febbraio: Appunti gennaio-febbraio 2015

Vedute dal Monte Pora, 2 gennaio 2015: Lago d’Iseo e Presolana. Il nuovo anno inizia bene. Osservare è più importante che possedere. Invecchiando sviluppo in me l’arte di guardare tranquillamente ed esteticamente.

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Nella traduzione di un testo poetico il traduttore deve sentirsi libero di trasferire nella sua lingua, come meglio crede, l’afflato lirico del testo originale, ma non fino a stravolgerne il senso. Mi piace il traduttore che mantiene inalterate le immagini plastiche dell’originale evitando di sostituirle con generalizzazioni concettuali. Confronto le traduzioni dei sonetti di Keats di Silvano Sabbadini e di Roberto Cresti. Anche se meno letteraria, la traduzione di Cresti (Sonetti, Garzanti, 2000) è più rispettosa dell’originale.

Passeggiata, oggi 6 gennaio, alla Malgalonga, da qui al Monte Sparavera m. 1369, quindi ridiscesi a Valpiana di Gandino per il bel bosco di Monte Barzena. Fioritura di ellebori.

Giovanni Comisso, Giorni di guerra, in Opere, Mondadori (I Meridiani) 2011, pp. 323-469. Piaciuto molto, bella scrittura, nessuna retorica, tono celere e leggero, senso di vita, libertà, verità.

Visitata oggi 8 gennaio a Bologna la mostra di Giovanni da Modena; ne scrivo nel Diario. Il pomeriggio alla Pinacoteca Nazionale. Musei, non solo italiani, sempre vuoti, mentre alle mostre c’è la ressa. Solo questione di pubblicità, di omologazione passiva di comportamenti collettivi? Spesso molti musei, soprattutto italiani, vecchi nelle strutture e nella concezione, non invogliano i giovani a frequentarli. Lunga osservazione del Crocifisso di Giovanni da Modena.

Mi ha impressionato il Crocifisso di Giovanni da Modena. Apparteneva al Convento di S. Francesco. Gli studiosi lo datano al 1415. Di straordinaria drammaticità, originale nell’iconografia, croce nera su fondo oro, rivolo di sangue dal costato al ginocchio, chiodi neri e grossi come pioli, necessari per reggere un corpo (naturalismo tardogotico); capelli lunghissimi come di un vero nazireo, braccia esili e stese nello stile giottesco. Il volto purtroppo è quasi del tutto invisibile per caduta di colore, ma si intuisce che doveva essere dritto, frontale e fortemente scorciato.

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Accompagno la rilettura del Decameron di Boccaccio con la lettura per la prima volta dei Racconti di Canterbury di Chaucer e delle Trecentonovelle di Franco Sacchetti. Sacchetti, rispetto ai primi due, ha meno forma, anche meno pensiero, ma possiede più ritmo, è più imprevedibile e più semplice, in alcune scene è di una comicità esilarante mai eguagliata né da Boccaccio né da Chaucer; nei discorsi diretti è naturale e vero. Chaucer è una miniera inesauribile di similitudini, collegate al valore simbolico dei bestiari, degli erbari e dei lapidari medievali, una prosa che procede per sentenze, aforismi, proverbi, consigli pratici di vita senza pretese moralistiche, con visione del mondo duttile e antidogmatica che si confà al mio carattere e alla mia concezione della vita.  Boccaccio dei tre ha sicuramente più forma, più arte, più senso plastico e più pensiero.

Novella XL di Sacchetti (Utet 2008, p. 155): perché studiare legge? È tempo perso, tanto oggi conta di più la forza della legge. In questa lapidaria considerazione le condizioni politiche dell’Italia tra fine XIV e inizio XV secolo.

Chaucer: «Un marito non deve essere curioso dei segreti di Dio né di quelli di sua moglie. Purché egli possa trovare in casa un po’ di grazia di Dio, non ha bisogno di indagare il resto» (I racconti di Canterbury, BUR 1998, Il racconto del mugnaio, p. 102).

Il sig. Edoardo Ferrarini di Bologna, lette le mie note dell’8 gennaio sul viaggio di ritorno per mare dei Re Magi, affrescato da Giovanni da Modena in San Petronio a Bologna, mi fa conoscere una tavola conservata al Clark Art Institute di Williamstown, Melchiorre che attraversa il Mar Rosso (così intitolata nella Fototeca Zeri), che l’Istituto americano attribuisce al Pesellino, e che titola King Melchior sailing to the Holy Land [ Re Melchiorre che salpa, veleggia, verso la Terra Santa] (cm. 65,1×69,8), ritenendo quindi che si tratti del viaggio di andata del re verso la terra santa. Per Giovanni di Hildesheim i re magi giunsero infatti a Gerusalemme ciascuno dal proprio paese, poi, incontratisi a Gerusalemme e saputo che vi erano giunti per lo stesso motivo, insieme si recarono a Betlemme. Per Giovanni di Hildesheim re Melchiorre veniva dall’Arabia e dalla Nubia: in nessun punto del testo dice che Melchiorre arrivò in Palestina navigando sul Mar Rosso ma lo lascia intuire. Perché non ipotizzare che all’origine esistessero tre scomparti (di una grande predella, di un polittico?) ognuno dei quali illustrava la partenza di ciascun re dalla sua propria terra? Oppure si può fare un’altra ipotesi: che la tavola di Williamstown facesse parte di una tavola orizzontale (tipo Tebaide dell’Angelico agli Uffizi) con la partenza dei re magi per aliam viam, cioè per mare, per far ritorno in Oriente, e che vi fossero raffigurate tre navi una per ciascun re, tavola poi divisa ecc. ecc., ma è ipotesi meno convincente, perché sulla riva si vedono dignitari che salutano la partenza del re, cosa impensabile per l’imbarco di ritorno in Oriente che dovette avvenire, come il testo evangelico lascia capire, di fretta e non palese.  Elementi compositivi e figurativi mostrano che l’autore di questa tavola potrebbe aver visto l’opera di Giovanni da Modena.

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Il prof. Gian Maria Varanini mi chiede di scrivere per il Dizionario Biografico degli Italiani la voce Porzi Giovanni Rocco, iniziatore della Congregazione dell’Osservanza agostiniana di Lombardia nel 1439 con la fondazione del Convento S. Agostino di Crema. Spedire il testo entro giugno.

Simone Facchinetti mi dona oggi, 21 gennaio, l’opuscolo che ha pubblicato in occasione della mostra su Giovanni Battista Moroni, da lui curata con Arturo Galansino alla Royal Academy of Arts di Londra. Col titolo Moroni a Londra appare nella collana “Arrigoniana”, edizione fuori commercio, stampa Press R3 di Almenno San Bartolomeo (Bergamo). Si compone di due parti, testo e fotografie. Nella prima sono le «impressioni, a caldo, [stese] tra il 20 e il 21 ottobre», a mostra ormai allestita e che sarebbe stata aperta al pubblico il 25 ottobre: impressioni annotate «pensando agli amici che non avrebbero potuto vedere la mostra [….] un modo – scrive Facchinetti – per raccontarla a briglie sciolte, seguendo l’onda emotiva del momento». Il breve testo si fa leggere con grande piacere: vi si mescolano, con semplicità e arguzia, note erudite e sensazioni soggettive, storia di Moroni e storia di sé come appassionato cultore dell’eredità moroniana. La seconda parte dell’opuscolo è costituita da una bella serie di splendide fotografie delle sale della mostra, scattate da Lidia Patelli, moglie di Facchinetti, fotografa di professione. La gradazione di luci e di ombre, le variate cromie dei quadri, appesi con intelligenza su pareti grigie e amaranto, la voluta ricerca di luminosi riflessi delle scintillanti cornici dorate, le perfette inquadrature, il taglio sapiente degli scorci, conferiscono alle immagini l’incanto di un mondo di raffinati colori, di linee pure e schiette, di uno spazio quasi sublimato. Avrei visto volentieri anche il nome di Lidia accanto a quello di Simone al frontespizio di questo librario bijoux.

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Bella passeggiata oggi 24 gennaio: da Lonno al Monte Podona, scesi a Salmezza, ritornati a Lonno per il sentiero 534. Lungo la ripida salita al Podona spiccano tra affioranti roccette e l’erba secca cuscini d’erica di rosso vivo. Dalla cima del Podona, una delle prime propaggini del sistema montuoso bergamasco, si gode un panorama vastissimo: dalle vicine montagne della Valle Seriana lo sguardo si allarga ai monti Guglielmo e Campione, alla Presolana, al Menna, alle Grigne, al Resegone, e lontanissimo al gruppo del Rosa e al Monviso. Sosta alla chiesetta di Salmezza, che ora, dopo i lavori di restauro, ha un colore giallo canarino che non le si addice proprio. Alla sorgente della Nesa, che ho fotografata, il pensiero alla poesia delle sorgenti di Gustave Courbet.

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Emilio Cecchi ama esibire l’arte della sua prosa forbita. Ricordo il mio professore d’Italiano al Liceo: «Cecchi è una caramellina in bocca». Rileggendo in questi giorni alcune sue prose ho l’impressione che per eccesso di decoro formale la scrittura sopravvanzi in lui le cose, l’ornamento domina l’espressione. Nei Diari è più libero, immediato, schietto, la scrittura è più sobria, semplice, piena di vita, e quindi anche più bella.

Ottima recensione della mostra di Constable al Victoria and Albert Museum sul The Burlington Magazine, gennaio 2015, pp. 27-31, a firma di Anne Lyles. a) Breve rassegna critica delle mostre e degli studi degli ultimi quindici anni; b)finalità della presente mostra, che consiste nel fornire, col supporto di ampia documentazione, un ritratto di Constable finora mai indagato a sufficienza: formazione giovanile, interesse per gli antichi maestri del paesaggio, in particolare Rubens, Lorrain e Ruysdael, notevole lavoro di copia dai maestri per assimilare composizione ed effetti, conoscenza della letteratura estetica e artistica da Leonardo da Vinci a Reynolds; c) presentazione sala per sala delle principali opere esposte e loro rapporto con la finalità della mostra. Un modello di recensione, da ricordare.

Lettura di Theodor Fontane, Il signore di Stechlin, Garzanti 1985, non all’altezza di Effi Briest.

Terminato, dopo sei anni di lavori, il restauro della Cappella Teodolinda nel Duomo di Monza. Nei prossimi tre mesi si può salire sui ponteggi per ammirare da vicino le splendide pitture murali. Prenotare la visita al numero 039 326383.

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A Vicenza, oggi 13 febbraio, per la mostra alla Basilica Palladiana,Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento, di Marco Goldin. Le mostre di questo eccentrico curatore sono spesso, come questa, d’argomento pretestuoso e mal definito nell’oggetto e nella cronologia, con apparati più di gusto letterario che di argomento storico-critico. Però Goldin, e questo torna a suo merito, sa ottenere prestiti di capolavori da tutti i musei del mondo. Io vado alle sue mostre come se andassi a visitare una pinacoteca, sicuro di  vedervi sempre bei quadri. Alcuni amici, anche storici dell’arte, dicono che non andranno mai a vedere una mostra di Goldin. Non fanno un torto a Goldin ma a se stessi. Viste qui a Vicenza opere straordinarie: la Santa Caterina d’Alessandria di Tiziano da Boston (1567 circa), San Francesco in estasi di Caravaggio (1595 circa) e la commovente Crocifissione di Poussin (1646) ambedue da Hartford, i Pescatrori di Turner da Southampton (1802), tre incantevoli marine di Friedrich da Lubecca, la Notte di Natale di Gaugin da Indianapolis (1903 circa), il meraviglioso N. 202 (Arancione e marrone) di Rothko da Detroit (1963). Quando mai rivedremo questi quadri in Italia?  Prima di entrare in mostra, sosta nella Chiesa di Santa Corona per il Battesimo di Gesù, 1500-1502 circa, capolavoro di Bellini, inquadrato dal meraviglioso altare di Rocco da Vicenza, 1501; l’Adorazione dei Magi di Veronese, 1573; il ricchissimo altare maggiore, 1669, con le preziose tarsie in marmo del fiorentino Francesco Antonio Corberelli, 1670.
Pranzato molto bene alla Trattoria Righetti in Piazza Duomo, polenta e baccalà.

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Programmo nei dettagli il viaggio negli Stati Uniti, con partenza il 30 aprile: New York, Boston, Williamstown, Philadelphia, Washington. Un viaggio tra quadri e libri.

Da leggere: Paolo D’Angelo, Filosofia del paesaggio Macerata, Quodlibet, 2015; Piergiorgio Strata, La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Roma, Carrocci, 2015; Carlo Ossola, Erasmo nel notturno d’Europa, Milano, Vita e Pensiero, 2015.

Nella liturgia di oggi, Mercoledì delle Ceneri, 18 febbraio, all’antifona d’ingresso: «Tu [Signore] ami tutti gli esseri e non detesti nulla di quanto hai fatto» (Sapienza 11,24). Non si fonda su queste parole ogni forma di ottimismo?

Sul numero di febbraio del The Burlington Magazine, alle pp. 133-134, compare a firma di Richard Green la recensione del film Mr Turner, di cui ho scritto in questo Diario alla data 1° febbraio. Nelle mia nota avevo avanzata l’ipotesi che l’infelice riuscita nel film della parte del giovane Ruskin fosse dipesa da un cattivo doppiaggio. Non è così, e mi scuso col doppiatore italiano. La colpa, per il recensore inglese, è tutta dell’attore Joshua Maguire, per nulla all’altezza del personaggio: “But Joshua Maguire’s portrayal of the young Ruskin as prim and prissy – not even looking the part – seems out of kilter with the film’s overall key and otherwise perfect casting”.

Ho consegnato a Marcello Eynard il saggio su Luigi Chiodi direttore della Biblioteca Civica Angelo Mai (1957-1978), che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Bergomum”. Ho messa troppa fatica a scrivere questo saggio e non sono per nulla contento.

Il prof. Enzo Noris, Presidente della Società Dante Alighieri, Sezione di Bergamo, mi invita a leggere in pubblico, il 15 aprile, alle ore 18.00, nella struttura Domus Bergamo, allestita per l’Expo, i primi due canti del Paradiso. Altri lettori seguiranno nei mercoledì successivi. Ciascuno leggerà due canti. Come riuscire a interpretare il canto II, così ostico per via di quelle benedette macchie lunari? Mi voterò, come l’autore, a Minerva, ad Apollo e alle nove Muse.

Nel volgere di pochi giorni ascoltati due trii di Beethoven: il Trio in do minore n. 3 Op. 1 alla Società del Quartetto, lunedì 23 febbraio (Trio “Suoniamo insieme?” con una giovanissima Maristella Patuzzi al violino); e il Trio in si bemolle maggiore op. 97 “Arciduca” in Sala Piatti, Incontri europei della musica, oggi 28 febbraio (“Trio di Milano”, con Massimo de Biasio al violino). Due opere incantevoli; nell’ascoltare il monumentale e sublime Andante dell’op. 97 preso da straniante esaltazione, immedesimato col suono, via dalle volgarità e dalle miserie della vita, via da ogni interesse. Il tempo dato a un buon concerto non è mai perso, è il miglior nutrimento dell’anima.

Sempre di più nelle nostre chiese altari spogli, desolati e disadorni, come fosse un perenne Venerdì Santo. Gli splendidi candelabri d’argento, i reliquari, le tovaglie con ricami finissimi: tutto il decoroso arredo liturgico, frutto dell’amore e dell’operosità di generazioni di fedeli, è rimosso dagli altari in ossequio a nuovi princîpi di esibita austerità. Poi capita di ritrovare questi oggetti bellissimi nei musei di arte sacra. Che contraddizione!

Nel conservare memoria di quel che si vede, si sente, si legge, dando ordine a tutto, si vive più intensamente, il passato ridiventa nostro e il futuro si dischiude più dolcemente.

20 febbraio 2015: Genealogia e mappa delle nostre letture

Possiamo leggere per due motivi. Ci sono letture cosiddette professionali, che facciamo nell’ambito di una ricerca con l’obbiettivo di produrre una pubblicazione che verrà ad arricchire, si spera con originalità, la bibliografia dell’argomento di cui ci occupiamo. Traccia della genealogia di queste letture è nelle note bibliografiche.
Ci sono letture che facciamo per il puro piacere intellettuale che esse procurano, per desiderio di conoscenza, per amore di cultura, per affinamento del nostro gusto letterario. Sono dell’avviso che tra letture professionali e quest’ultime debba sempre esserci un legame, una benefica osmosi, un reciproco dare e ricevere, come tra lavoro di ricerca e vita, nell’ideale composizione a sintesi di tutte le nostre attività spirituali.
Ritengo dunque un bene, so che altri pensano diversamente, evitare anche nell’esercizio delle nostre letture non professionali casualità e improvvisazione, ambedue indizi di passività e cause di uggiosa inconcludenza. Come? Curando, anche di queste letture, la genealogia, che è conoscenza amorosa delle ascendenze: “vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore che m’ha fatto cercar lo tuo volume”.
Arriviamo solitamente alla lettura di un libro per tre vie: può avercelo segnalato un autore, un amico, una recensione. Io prediligo la prima. Deve certo trattarsi di un autore, sia egli poeta, narratore, pensatore, saggista, che amo, di cui ho letto testi che mi hanno colpito, suggestionato, impegnato il pensiero. Autori che sono consiglieri e maestri: le loro letture diventano le mie. Nella maggioranza dei casi la genealogia delle mie letture appartiene a questo ramo. Esempi recentissimi: sono arrivato a Theodor Fontane da Thomas Mann; a Walter Scott da Charles Nodier; a Knut Hamsun da Hermann Hesse. I percorsi o le peregrinazioni delle mie letture disegnano una mappa in cui le località sono nomi di grandi autori: nell’intrecciarsi delle molte vie queste località possono essere d’arrivo, di partenza, di passaggio, a seconda dei tempi e dei programmi del viaggiatore. Più spesso sono nel contempo località d’arrivo, di partenza e di passaggio.
Perché la mappa prenda forma è opportuno tenere nota delle nostre letture, come fa l’esploratore di terre ignote. Bastano pochi dati, che possiamo apporre al frontespizio: data e luogo di acquisto del libro, data di lettura (che non coincide sempre con la prima), nome dell’autore (e testo) che ha originato quella lettura oppure nome dell’amico o conoscente o recensore (dove?) che ci ha segnalato il libro. Se l’opera che leggiamo è stata presa in prestito in biblioteca, annoteremo i dati nel diario delle nostre letture.

14 febbraio 2015: Giuseppina Osio e Ignazio Bellini: la poesia dei muri

L’amico Arialdo Ceribelli mi ha chiesto di scrivere una breve introduzione alla esposizione di immagini di Giuseppina Osio e Ignazio Bellini, che si terrà nella sua Galleria in via S. Tomaso 86 a Bergamo, a partire dal prossimo 21 marzo. Questo il testo che ho preparato.

All’inizio c’è un muro, alto, imponente, di grosse e ben squadrate pietre grigie. Sta lì, davanti a casa, accomunato per abitudine alle altre domestiche cose del piccolo mondo quotidiano. Apprese, ancora bambina, che serviva per la difesa della Città. Che altro sapere?
Poi, un giorno scoprì, stupita e meravigliata, che quel muro, visto tutti i giorni e da tanti anni, in realtà non l’aveva guardato mai. Servì, per quella rivelazione, che fosse un giorno di grazia e giorno di pioggia.
Le pietre bagnate prendevano colori, riflessi, vibrazioni, a seconda dell’ora, che parevano non chiedere altro agli occhi che di contemplare e alla mente di immaginare. Era un altro muro, percepito e sentito nella composta regolarità della sua bella tessitura, nella coesione forte della sua esistenza disinteressata. Disinteresse agli usi difensivi per i quali era stato eretto, disinteresse a funzionalità costruttive, disinteresse anche agli usi allegorici e simbolici, come “cittadine infauste mura” (Leopardi) o “seguitare una muraglia” (Montale), per dire separatezza, confine, limite. Muro che non serviva ad altro che a parlare della sua pura forma.
Inizia per l’artista un iter secretum. Avverte una risonanza interiore, che urge di essere espressa. Ha bisogno di invenzione e di tecnica. Trova l’una nella sua immaginazione, l’altra nella camera digitale e nel computer.
Andando lungo le mura che circondano l’Alta Città di Bergamo, Giuseppina Osio scatta più di settecento fotografie, in giorni umidi di pioggia, naturalmente. Seleziona, scarta, trasceglie. Alle immagini di più ampia veduta predilige il frammento. Esso esalta il reticolo geometrico della composizione, la sagomatura della pietra e la sua fantasiosa superficie scabra e porosa, gli interstizi che disegnano incisivi contorni neri, le minutissime vite, come del ciuffo d’erba, che danno al frammento l’aura d’un segreto microcosmo.
L’ouverture dell’esposizione è breve sinfonia che varia per quattro volte lo stesso tema. Accentuazione dei riflessi e dei contrasti di luce e ombra, lievi viraggi di tono restituiscono, meglio sarebbe dire trasfigurano, il muro in superficie diafana, liquida e guizzante come l’increspatura del mare. Bellezza formale dell’ossimoro nella poesia dell’artista: vedere un’onda nella durezza di una pietra.

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All’ouverture della solista segue una musica per immagini con due interpreti. Alla Osio si affianca Ignazio Bellini.
Anche Bellini è stato colpito dalla poesia dei muri. Per lui, muri indiani, di edifici civili, religiosi e di difesa, scoperti, amati e fotografati, andato in pellegrinaggio nei venerati luoghi di quella antica e grande civiltà. Muri saturi di storia e di cultura, testimoni di umanità e di vita, maestosi o umili, decorati o spogli, lisci o scrostati, dritti o sghembi, in ogni caso sgargianti e scintillanti nelle tonalità cromatiche del fascinoso Oriente.
I due artisti, ignari l’uno del percorso dell’altro, si incontrano. Mettono in comune il tesoro delle loro immagini, condividono i sentimenti che le hanno originate, sono ambedue mossi dalla stessa passione per il libero gioco di intelletto e immaginazione. Prende forma un’idea creativa: dare vita, con la rielaborazione al computer, a nuove immagini, che siano visioni di nuovi muri, reali e fantastici insieme, in cui contaminazioni, sovrapposizioni, intersecazioni, accostamenti di colori, linee e forme di muri di civiltà diverse e lontane, producano sorpresa visiva e rinnovato incanto. Anche gli antichi costruttori delle mura venete – per gioco? per piacere dell’occhio? – inserirono nella fitta e omogenea tessitura delle pietre grigie, qui e là, una sorprendente pietra bianca. Tutti i linguaggi poetici vivono e si nutrono di contaminazioni e di inserti. Spezzano abitudini, rinvigoriscono la fantasia, fanno scorrere per osmosi linfa nuova, aprono vie ignote, tengono alta la libertà.

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Nelle immagini che scorrono davanti ai nostri occhi, contaminazioni, accostamenti, inserti compongono volute armonie, in cui è tuttavia sempre amabilmente assecondata la ricerca della forza di contrasto a fini espressivi. Inserti di muro indiano, una o più pietre di brillante colore che si incastrano tra le pietre delle mura venete, un intonaco macchiato, un graffito, un foglio affisso, hanno la funzione di note cromatiche dominanti o di elementi di discontinuità per asimmetria, imprevedibilità, bizzarria.

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L’inserto che compare nell’ultima immagine, la maniglia di un cassetto, non viene da alcun muro indiano. E’ libera invenzione dei due artisti. Lo interpreto come metafora della loro ricerca. I muri, se osservati con occhio limpido, curioso, inventivo, ci parlano, svelano segreti, raccontano storie delle loro forme e dei loro colori. Se apriremo il cassetto metaforico di questo muro potremo vedere che cosa c’è dentro o che cosa c’è al di là del muro. Ciascuno immagini ciò che vuole: imitando l’estro degli artisti, si faccia anch’egli per un attimo poeta.

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Io immagino di trovarvi il foglio un poco sgualcito di un antico codice di fine Quattrocento che reca – guarda la coincidenza – un bellissimo passo del Libro della pittura di Leonardo da Vinci, che dice: «Non resterò però di mettere infra questi precetti una nova invenzione di speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare lo ʼngegno a varie invenzioni, e questo è, se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti: se arai a invenzionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine di diversi paesi ornati di montagne, fiumi, sassi, albori, pianure grandi valle e colli in diversi modi: ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. Entreviene in simili muri e misti come del sòno di campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocavolo che tu immaginerai» (Il libro della pittura, A 102 v.).

6 febbraio 2015: Come s. Francesco

Questa mattina, appena alzati, la gradita sorpresa di una copiosa nevicata, che mette sempre allegria, come quando si era bambini.
Fatta colazione, ci prendiamo pensiero dei poveri uccellini che stazionano intorno a casa: dove troveranno oggi da mangiare?
Su un’assicella, che mettiamo sul terrazzo liberato dalla neve, apparecchiamo il più lauto pasto che un uccello possa aspettarsi: foglie di insalata, spizzichi di mela, miglio, semi di grano, biscotti sbricciolati.
Il primo a venire è un grosso merlo, che ha l’aria di farla da padrone. Come si allontana, calano al desco pettirossi infreddoliti e diffidenti, che beccano più con ansia che con piacere, gli occhietti timorosi sempre all’erta. Li spiamo scostando di poco la tenda; ma hanno un senso così fine che ci avvertono senza vederci, e volano via.
Poi ritornano, perché tanta grazia non è di tutti i giorni, e per di più in giorno di neve. Mangiano, lasciando ovunque per il terrazzo, con disappunto di Liliana, vestigia organiche della graditissima pastura.

4 febbraio 2015: John Keats e Giacomo Leopardi

Alla lezione di Inglese ho recitato oggi a memoria, non senza emozione, in due passaggi mi sono anche confuso, il famoso sonetto di John Keats Happy is England!, composto nel tardo autunno 1816 e pubblicato nella raccolta Poems edita da Ollier nel 1817 (ultimo della raccolta).
Il poeta sente un grande desiderio, come un languore, a languishment, «per i cieli italiani», un urgente bisogno di «sedermi su un’alpe, come su un trono, fino quasi a obliare quel che vuol dire il mondo e il mondano» (traduzione di Roberto Cresti, Sonetti, Garzanti, 2009, p.47).
To sit upon an Alp as on a throne,
And half forget what world or worldling meant
Nel pomeriggio dovendo compiere, per la redazione della scheda di una mostra della Galleria Ceribelli, una breve ricerca sul muro come simbolo letterario della invalicabile ineluttabilità delle cose («cittadine infauste mura»…«in questo seguitare una muraglia»…), leggo il canto di Leopardi La vita solitaria, composto nell’estate 1821 e, felice coincidenza, vi trovo un passo che per senso e immagine è del tutto simile a quello sopra citato di Keats. Il poeta italiano è in campagna nella tenuta di San Leopardo, a pochi chilometri da Recanati, seduto «in solitaria parte, sovra un rialto al margine d’un lago di taciturne piante incoronato». Contemplando il lago e la natura, immerso nella quiete che regna tutt’intorno:
«Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
sedendo immoto…».
In ambedue i passi quattro parole: half quasi, forget obblio, world mondo, to sit sedendo.
Leopardi conosceva il sonetto di Keats? Dubito molto, anche se sappiamo che il fratello Carlo era un colto estimatore della cultura inglese e che la sorella Paolina era una raffinata lettrice di libri inglesi e francesi. È invece certo un comune sentire della poetica romantica, nella quale il motivo dell’oblio, del dimenticarsi, del perdersi nella estasiata contemplazione della natura è tra i più ricorrenti, immaginati e descritti.
Noto due varianti. Leopardi accentua il perdersi di sé come individuo con l’aggiunta di quell’«io», Keats il senso fuggitivo o superficiale o inessenziale del mondo con l’aggiunta di quel wordling, mondano. Salvo queste due varianti, la corrispondenza è perfetta. Colpisce la presenza in entrambi di un avverbio half, quasi, come se i due poeti avvertissero che il tono di assoluta asserzione dell’annullarsi del mondo, di cui non si ha piena certezza o consapevolezza, andasse attutito, smorzato per risultare più vero.
Un’ultima considerazione: ambedue i poeti siedono in posizione elevata. Lo sguardo dall’alto («su un alpe … sovra un rialto … ermo colle»), per la prospettiva, l’elevatezza e l’immensità dello spazio di cui si gode, genera sensazione di raggiunto distacco dalle cose, di più grata solitudine, di maggiore levità spirituale.

1 febbraio 2015: William Turner al cinema

Il film TURNER, da pochi giorni nelle sale italiane, merita di essere visto da chi è amante della pittura. Non è forse un capolavoro (i capolavori sono rari in ogni arte), ma si tratta comunque di un ottimo film, interpretato magistralmente dall’attore inglese Timothy Spall.
Narra gli ultimi venticinque anni di vita del celebre pittore William Turner (1775-1851). Il regista Mike Leigh presuppone che il pubblico sappia tutto di Turner, e che quindi conosca le vicende della giovinezza e della maturità del pittore. Ma se ciò vale per gli Inglesi, che imparano a conoscere Turner dalle scuole primarie, non è così per il pubblico italiano: consiglio allora di leggere una breve biografia del pittore prima di vedere il film, basta la voce di un’enciclopedia o di Wikipedia, che è fatta bene; in caso contrario si corre il rischio di non capire nulla della prima mezz’ora del film.
La fotografia è splendida, buona la scenografia. Il pittore è rappresentato senza alcuna affettazione agiografica nel suo vero carattere di persona non poco contraddittoria, sensibile e insieme scontrosa, generosa e insieme gretta. Il film insiste sulla solitudine, le avversità e i problematici stati affettivi di cui Turner ebbe a soffrire nell’ultima fase della sua vita. Vi è forse un eccesso di gusto per l’episodio se non proprio per l’aneddoto, ma una sequela di episodi esemplari svelano la trama di una vita. La resa dei personaggi di contorno, rappresentativi della società del tempo, non manca di sottile humour inglese, unito al gusto hogarthiano della caratterizzazione dei tipi. Il risultato è sempre gradevole.
Il film non lascia intendere con pienezza di significato in che cosa sia consistita la straordinaria innovazione della pittura di Turner, che dal figurativo perviene a quadri informali. Ma è probabile che anche questo aspetto, ben noto al pubblico colto inglese, sia stato volutamente passato in second’ordine dal regista, che è molto più interessato al ritratto caratteriale del personaggio.
Non ho invece capito il motivo per cui si sia voluto dare del giovane John Ruskin, celebre critico d’arte inglese, tra i primi a mettere in luce il valore artistico di Turner, l’immagine di persona saccente, meschina, con evidente intenzione caricaturale, tanto che in sala avvertivo malcelati sorrisetti. È immagine fuori luogo e falsa. Ho anche pensato, tornando a rifletterci in questi giorni, che la percezione negativa che il pubblico italiano ha di questo Ruskin possa essere dovuta a un cattivo doppiaggio: basta poco, una particolare voce, un ritmo sbagliato, un’intonazione stonata, una non corretta traduzione ecc. per stravolgere un personaggio. Chiederò a qualche amico che ha visto o che vedrà il film nell’originale inglese.
Comunque una cosa mi è certa: il bravo attore Timothy Spall rende la personalità di Turner così come John Ruskin la descrisse nel suo diario, dopo aver appena conosciuto l’artista il 22 giugno 1840: «William Turner mi è stato descritto da tutti come rozzo, villano, privo di doti intellettuali e volgare, ma sapevo che ciò era impossibile. Mi è invece sembrato un gentiluomo un po’ eccentrico, pungente nei modi, pratico e di mentalità molto inglese; chiaramente di indole buona ma, altrettanto chiaramente, di temperamento irritabile, nemico di ogni ipocrisia, perspicace, forse un po’ egoista, molto dotato intellettualmente; le sue qualità spirituali non si manifestano con compiacimento o con volontà di ostentazione ma si fanno cogliere di quando in quando in una parola o in uno sguardo».
Chi vedrà il film non potrà che convenire sulla piena corrispondenza della felice descrizione di Ruskin con l’altrettanto felice interpretazione di Timothy Spall.

20 gennaio 2015: La rilevanza della pittura nella società fiamminga del Seicento

Ho trovato singolare e interessante dal punto di vista iconografico il quadro di Anthonie o Antoine Sallaert, pittore attivo a Bruxelles nella prima metà del Seicento, Processione delle fanciulle del Sablon, visto poche settimane fa alla Galleria Sabauda di Torino (olio su tela, cm. 56×99).
Raffigura la processione, Ommegang, che si svolgeva a Bruxelles ogni anno la domenica avanti la Pentecoste intorno alla Chiesa di Nostra Signora del Sablon. Ommegang era la più grande manifestazione religiosa e civile della Città. Sfilavano le gilde militari, i notabili, le corporazioni, gli ordini religiosi, i magistrati. Il concorso di popolo era enorme essendo la processione il momento culminante della più grande festa di Bruxelles.
Il dipinto fu realizzato sicuramente dopo il 1617, perché a partire da quest’anno sfilarono nella processione, precedendo la statua della Vergine miracolosa, protettrice della Città, anche dodici ragazze povere, per le quali l’arciduchessa Isabella aveva iniziato ad elargire, a partire dal 1617, una somma di denaro per la costituzione della loro dote. Le dodici ragazze si vedono in primo piano vestite di bianco e con in mano una candela accesa. Ogni particolare è descritto con minuzia e precisione. Notiamo che in occasione della processione le facciate delle case venivano ornate con rami verdi, e ciò rinvia all’antico significato lustrale della processione, momento collettivo di purificazione della Città che si metteva sotto la protezione della Vergine contro i pericoli esterni.
Ma il particolare che più mi ha colpito e che voglio porre all’attenzione dei lettori è questo: lungo il percorso della processione venivano esposti, sul fondo di tele rosse, verdi, brune quadri di vario genere, non solo di contenuto religioso; si vedono infatti ritratti, scene storiche e pure un paesaggio appeso fuori di una casa in alto a destra; alcune persone, disinteressandosi bellamente del passaggio della Vergine miracolosa, sono intenti a osservare i dipinti e a discuterne tra loro.
Il quadro di Sallaert è un documento curioso, che testimonia plasticamente come nella regione fiamminga in età barocca la pittura fosse tenuta in grande considerazione e come essa rivestisse un’importante funzione sociale. In questi anni, solo a Bruxelles, esercitavano l’arte ben trecento pittori. Sono gli anni di Rubens e di van Dyck.

19 gennaio 2015: Per un’etica della lettura

Quando uno arriva a 65 anni e vede che tutte le previsioni, più o meno utopiche o apocalittiche, che ha dovuto sorbire dai tempi della giovinezza, alle quali ha qualche volta ingenuamente prestato fede, non solo non si sono avverate ma che è avvenuto esattamente il contrario, deve dire basta, smettere di dedicare anche solo un minuto alla lettura di questa roba, bassa merce editoriale di autori egocentrici in cerca di effimera ribalta. C’è più senso di vita reale, più conoscenza degli uomini e del mondo, più futuro in un’operetta morale  di Leopardi, in un romanzo di Flaubert o in una scultura di Giacometti che non in tutta quella congerie di saggi pseudoantropologici e pseudofilosofici che invadono le librerie.

12 gennaio 2015: Un armonioso Olimpo

Nelle mie peregrinazioni erudite la più viva soddisfazione mi viene dal poter rilevare col lavoro di ricerca tre fattori o momenti; a volte tutti insieme, a volte uno solo di essi: 1) la continuità plurisecolare, se non millenaria, di forme e di espressioni culturali; 2) la discontinuità col passato praticata da innovazioni impreviste e spesso imprevedibili; 3) lo scambio osmotico tra culture, civiltà, esperienze. Il primo fattore rafforza il concetto di permanenza, tradizione, conservazione; il secondo quello della libertà, della immaginazione, della soggettività; il terzo quello della precarietà, della relatività, della tolleranza. Sono tutti concetti e valori ai quali cerco di improntare il mio lavoro intellettuale. Lo sforzo richiesto è di mantenere in equilibrio questi valori come in un armonioso Olimpo di divinità contrastanti.

8 gennaio 2015: Giovanni da Modena: il viaggio di ritorno dei re Magi al loro paese d’oriente

Dal 12 dicembre al 12 aprile il Museo Civico Medievale di Bologna presenta la mostra Giovanni da Modena.Un pittore all’ombra di San Petronio, a cura di Daniele Benati e Massimo Medica. Si tratta della prima mostra dedicata al pittore modenese, ma bolognese d’adozione, Giovanni di Pietro Falloppi (1379?-1455?) noto come Giovanni da Modena. Leggi tutto il testo »

6 gennaio 2015: Paesaggio bergamasco tra realtà e retorica barocca

In queste settimane si susseguono belle giornate e nemmeno tanto fredde. In montagna, sino ai duemila metri, la neve è scarsa, strade e sentieri sono praticabili. Ne approfittiamo per lunghe passeggiate. Siamo stati in Val Grabiasca, sul Canto Alto, sulla Cima Pora, ai Canti di Valle Imagna, sul Monte Golla. Oggi, raggiunta la Malga Lunga da Valpiana sopra Gandino, siamo saliti sullo Sparavera (m. 1369), dalla tonda e ampia sommità prativa. Leggi tutto il testo »

5 gennaio 2015: L’odore dei libri

Leggo Effi Briest di Theodor Fontane (1895), un romanzo di una bellezza, di un vigore e di una grazia straordinari. Un capolavoro della letteratura di ogni tempo, che raccomando agli amici se ancora non l’avessero letto. Si è sempre a tempo: io l’ho scoperto da poche settimane, grazie a Thomas Mann. Quanto è sorprendente e mirabile il contenuto poetico del libro non altrettanto è la confezione, veramente inadeguata, dell’edizione di cui mi servo, Garzanti 1998. Leggi tutto il testo »

31 dicembre: Appunti dicembre 2014

Lettura del Re Lear di Shakespeare. Atto IV, terza scena, Gentiluomo: «Avrete visto talvolta sole e pioggia insieme. Così, ma più squisito, il suo sorriso tra lacrime: quei sorrisetti vaghi e fuggitivi che, a fiore a fiore delle labbra rosee, sembravano ignorare le lacrime ospiti dei suoi occhi, che via via come perle strappate a due diamanti, se ne partivano. Il dolore, se fosse in tutti sempre così bello, sarebbe una cosa dolcissima, adorabile» (Torino, Einaudi, 1994, vol. II, , p. 355). Leggi tutto il testo »

23 dicembre 2014: Alla Villa Reale di Milano, per Giacometti

Seduto a una panchina del parco all’inglese di Villa Reale a Milano mi gusto i biscotti natalizi fatti ieri in casa, leggo poesie di Keats tentando di tradurne alcuni versi, ammiro il capolavoro di Leopoldo Pollack, il palazzo neoclassico eretto tra il 1790 e il 1796 per il conte Lodovico Barbiano di Belgiojoso. Passato a metà Ottocento ai Savoia, il palazzo acquisì la denominazione di Villa Reale; oggi è prestigiosa e fortunata sede della Galleria d’Arte Moderna. Leggi tutto il testo »

21 dicembre 2014: Goethe, norme di vita intellettuale

La mattina di giovedì 26 aprile 1787, affacciatosi alla finestra della locanda di Agrigento, lo sguardo incantato sulla valle dei templi, Goethe ha un pensiero affettuoso per l’amico “segreto, taciturno ma non muto” che gli sta sempre accanto nel viaggio in Sicilia: il “libriccino”, che custodisce “come breviario o talismano”, di Johann Hermann von Riedesel (1740-1785), pubblicato a Zurigo nel 1771, in forma di lettere al suo maestro Winckelmann, Reise durch Sizilien und Gross-griechenland [Viaggio in Sicilia e nella Magna Grecia]. Leggi tutto il testo »

20 dicembre 2014: Bellezza e immaginazione

La sensazione è tanto più piacevole, e quindi gli oggetti della sensazione sono tanto più belli, quanto più è avvivata e sostanziata dalla libera e creatrice immaginazione, sorgente di incanti sensuosi e di magie aurorali, di chiare bellezze e di sottili verità. La vigilia è più bella della festa, gli ultimi passi più belli della meta, l’abbozzo più bello del finito, questo umano faticoso camminare più bello del paradiso. Leggi tutto il testo »

18 dicembre 2014: In linea il mio Constable

E’ da ieri in linea il mio saggio Divagazioni sul quadro di John Constable, Il carro da fieno, The Hay Wain, 1821, tra Londra e Parigi, scritto in un mese, dopo aver visto il 5 novembre scorso la mostra di Constable allestita al Victoria and Albert Museum. Leggi tutto il testo »

11 dicembre 2014: Un piacevole angolo di Bergamo

Tutti i mercoledì mattina, dovendo andare a lezione di Inglese, percorro a piedi il tratto che da via Zambonate porta in via Coghetti, dove è lo studio della mia teacher. Nell’andata passo da Piazza Pontida e faccio un pezzo di via Broseta. Nel ritorno risalgo la via Giacomo Manzù, il vicolo S. Rocco e per via S. Lazzaro ritorno in via Zambonate. Leggi tutto il testo »

8 dicembre 2014: Che vista dal Canto Alto!

Giornata limpida, aria tersa. Lasciata l’automobile a Monte di Nese saliamo al Canto Alto, un’ora e mezza di marcia.
Ai margini del bosco alti faggi, stupendi, monumentali. Leggi tutto il testo »

30 novembre: Appunti ottobre-novembre 2014

Visitata oggi 1° ottobre la mostra di Giovanni Segantini a Palazzo Reale, Milano. Ammirati i disegni, che non conoscevo: ricordano Millet, ma hanno più perizia, verità e lume. Leggi tutto il testo »

25 novembre 2014: La modernità per Baudelaire

Per Baudelaire il concetto di moderno, così spesso abusato ed equivocato, non ha alcuna connotazione di carattere temporale. È categoria di giudizio che inerisce all’opera d’arte presa per se stessa. Leggi tutto il testo »

8 novembre 2014: Le invenzioni del grande Rembrandt

La visita della mostra di Rembrandt alla National Gallery di Londra rinnova le emozioni che ogni volta provo davanti alle creazioni del grande pittore olandese. Non faccio distinzione tra incisioni e dipinti. Leggi tutto il testo »

5 novembre 2014: Sperduti tra i campi del Suffolk

Siamo a Londra e vi resteremo sino a venerdì sera 7 novembre. Arrivati ieri mattina con volo Ryanair, alloggiamo in Argyle Street (King’s Cross) all’Hotel Central, che è il nostro abituale albergo londinese, tranquillo, comodo, pulito, prezzi onesti. Leggi tutto il testo »

31 ottobre 2014: Gianluca Piccinini ha compiuto ieri 60 anni

Ieri sera, all’Osteria dei Tre Gobbi in Bergamo, invitati da Iolanda ci siamo trovati, un bel gruppo di amici, a ricordare Gianluca Piccinini, scomparso il 7 aprile 2012 all’età di 57 anni. Leggi tutto il testo »

28 ottobre 2014: Don Bertocchi faceva don Abbondio e io uno dei bravi

Apprendo dal giornale che oggi 28 ottobre, domani 29 e giovedì 30, per espressa volontà del Ministero della Pubblica Istruzione nelle scuole italiane di ogni ordine e grado si dovrà dedicare almeno mezz’ora al giorno alla lettura ad alta voce di un libro. Leggi tutto il testo »

26 ottobre 2014: “Una nota nell’anima, una dolcezza”

Knut Hamsun, Il risveglio della terra, p. 737, Utet 1968 (prima edizione orig. 1917): “Swert passeggia una sera in riva al fiume. Improvvisamente si ferma. Due anitre posano sull’acque, maschio e femmina, e l’hanno scorto. La presenza dell’uomo le inquieta. Una di esse dice qualche cosa: un canto breve, una melodia in tre note. Leggi tutto il testo »

12 ottobre 2014: L’arte è selezione e misura

Nicolas Poussin, come ho scritto sotto la data del 25 settembre scorso, approva l’idea di Chantelou di tenere coperti con tende i quadri della galleria e di mostrare alla osservazione del visitatore un quadro alla volta. Leggi tutto il testo »

7 ottobre 2014: Ippocastani infestati dalla Cameraria Ohridella

Quale amarezza non vedere più, e ormai da diversi anni, quella bella corona d’oro che gli ippocastani nel loro estremo splendore autunnale disegnavano intorno all’alta e antica città di Bergamo. Leggi tutto il testo »

30 settembre: Appunti agosto-settembre 2014

Anche l’orgoglio, l’ambizione e la vanità, sempre vituperati come vizi, possono invece svolgere una utile funzione sociale.

6-7 agosto, al Rifugio Federico Chabod, Valsavarenche, Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Iniziata la lettura di Dostoevskij, L’idiota, Newton 2013. Lettura di Racine, Athalie. Leggi tutto il testo »