19 agosto 2014: Gettare via il nostro “cannocchiale intellettuale”

[Pierre Bezuchov]: «Per tutta la vita aveva guardato chissà dove, lontano, al di sopra delle teste della gente che lo circondava, mentre avrebbe dovuto non scrutare lontano, ma semplicemente guardare davanti a sé. Prima non aveva saputo vedere in nessuna cosa il grande, l’incomprensibile, l’infinito. Sentiva soltanto che doveva esistere da qualche parte e lo cercava. In ogni cosa vicina e comprensibile vedeva soltanto ciò che era limitato, meschino, quotidiano, insensato. Si armava di un cannocchiale intellettuale e guardava in lontananza, dove ciò che era così meschino, quotidiano, occultandosi nelle lontananze nebbiose, gli pareva grande e infinito solo perché lo si vedeva confusamente. Tali gli erano parse la vita europea, la politica, la massoneria, la filosofia, la filantropia. Ma anche quando, nei momenti che lui considerava come una sua debolezza, la sua mente penetrava in quella lontananza, anche laggiù vedeva sempre le stesse cose meschine, quotidiane, insensate. Ora invece aveva imparato a vedere il grande, l’eterno e l’infinito in tutto e perciò, per vederlo, per godere della sua contemplazione, in modo del tutto naturale aveva gettato via il cannocchiale con cui sino ad allora aveva guardato al di sopra delle teste degli uomini, e contemplava con gioia intorno a sé la vita eternamente mutevole, eternamente grande, incomprensibile e infinita. E quanto più da vicino la guardava, tanto più si sentiva tranquillo e felice. La terribile domanda: perché?, che prima distruggeva tutte le sue costruzioni intellettuali, ora per lui non esisteva più. Ora alla domanda: perché? nella sua anima era sempre pronta la semplice risposta; perché c’è Dio, quel Dio senza la volontà del quale non cade un capello dalla testa dell’uomo» (Tolstoj, Guerra e pace, Garzanti 2014, pp. 1333-1334).

Siddharta: «Il senso e l’essenza delle cose erano non in qualche cosa oltre e dietro loro, ma nelle cose stesse, in tutto. – Come sono stato sordo e ottuso! – pensava, e camminava rapidamente. – Quand’uno legge uno scritto di cui vuol conoscere il senso, non ne disprezza i segni e le lettere, né li chiama illusione, accidente e corteccia senza valore, bensì li decifra, li studia e li ama, lettera per lettera. Io invece, io che volevo leggere il libro del mondo e il libro del mio proprio Io, ho disprezzato i segni e le lettere, a favore d’un significato congetturato in precedenza, ho chiamato illusione il mondo delle apparenze. Ho chiamato il mio occhio e la mia lingua fenomeni accidentali e senza valore. No, tutto questo è finito, ora son desto, mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta –. (Hermann Hesse, Siddharta, Adelphi 1991, pp. 63-64).