8 novembre 2014: Le invenzioni del grande Rembrandt

La visita della mostra di Rembrandt alla National Gallery di Londra rinnova le emozioni che ogni volta provo davanti alle creazioni del grande pittore olandese. Non faccio distinzione tra incisioni e dipinti. In ambedue le tecniche Rembrandt eccelle per la straordinaria vena inventiva, per la verità dei sentimenti, per la naturalezza dell’azione, dei gesti, degli sguardi, per la luce, che nelle sue opere è un valore assoluto.
Nelle incisioni la luce circoscrive con forti contrasti di chiaroscuro l’oggetto della nostra visione, potenziando la condivisione emotiva della scena; nei dipinti è una luce calda, dorata, ideale, che mentre offre ai nostri occhi una realtà tangibile, quotidiana, naturale, la rende nel contempo inavvicinabile, come fosse di un altro mondo. E rimango sempre incantato nel contemplare i libri raffigurati da Rembrandt, così sfolgoranti, come se da essi si irradiassero sensi d’oro, che infiammano il mio desiderio di immergersi in tanta luce.
La mostra di Londra indaga l’ultimo periodo della vita di Rembrandt, the late works, segnato da intricate vicende sentimentali, giuridiche e finanziarie, periodo difficile e triste, dopo la morte dell’amata moglie Saskia. Abbandonata la grande casa presso il quartiere ebraico, dove per più di vent’anni aveva condotto un’esistenza fastosa, Rembrandt si trasferì con Hendrickje Stoffels, divenuta la compagna della sua vita, e con i figli Tito e Cornelia, in una modesta abitazione del quartiere popolare di Jordanan sul Rozengraacht. Negli ultimi anni condusse una vita appartata e solitaria, quasi completamente dimenticato, continuando a dipingere capolavori, che sono quasi tutti esposti in mostra, tra questi i Sindaci dei drappieri (1662), la Sposa ebrea (1666 circa), ambedue al Rijksmuseum di Amsterdam, il Giuramento dei Batavi (1661, National Museum di Stoccoma). Nelle ultime opere, come già era avvenuto con Tiziano, i modi di Rembrandt si evolvono: il colore è steso a larghi colpi di spatola, i contorni delle figure si sfaldano e le forme diventano indefinite, il colore è denso e tattile. Ma è proprio questa indefinitezza, questa sospensione, queste forme sintetiche appena accennate, abbreviate, quasi monocrome seppure sempre luminose, a intrigare maggiormente la nostra immaginazione, ad avvivare il sentimento. Quante volte ho constatato che in pittura il maggior grado di indefinitezza, intendo ovviamente dei grandi geni, spinge al più alto grado la mia partecipazione emotiva alla raffigurazione.
Due opere, di quelle esposte, segnalo agli amici lettori. L’acquaforte L’adorazione dei pastori nella notte, cm. 14,8×19,8, (Londra, British Museum), e Simeone col Bambino Gesù nel tempio, circa 1669 (Stoccolma, National Museum).
Rispetto all’iconografia tradizionale, la natività di Gesù rappresentata nell’acquaforte, di straordinaria resa luministica, è alquanto diversa, ma indubbiamente molto più naturale. In una stalla isolata, una madre e il suo bambino, nato da poche ore, non possono che stare così, come Rembrandt li ha disegnati, coricati sulla paglia, vicini e infagottati per ripararsi dal freddo. La madre tiene gli occhi fissi sul bimbo che dorme. E il padre che fa? Veglia premuroso, leggendo al lume di una lanterna. Gli abitanti della contrada, sorpresi e curiosi di quanto è accaduto, non capita tutti i giorni che in una stalla nasca un bambino, vengono con le loro lanterne a vedere, forse anche per portare in dono qualcosa di utile. Guardino pure, sembra voler dire Giuseppe, ma in silenzio, senza disturbare il sonno di madre e figlioletto. Una scena commovente, di una dolcezza infinita, che solo un grande poeta poteva inventare.
Nel dipinto, che probabilmente, a giudizio degli storici, è l’ultima opera di Rembrandt prima di morire il 4 ottobre 1669 (dopo la morte il dipinto fu trovato nel suo studio, incompiuto), il vecchio Simeone, “uomo giusto e pio ” (Luca 2, 25-32), che ogni giorno si recava nel tempio e che aspettava paziente “la consolazione d’Israele”, mosso dalla Spirito, che gli “aveva rivelato che non avrebbe veduto la morte prima d’aver visto il Messia del Signore”, quel mattino ebbe il presentimento che il bambino recato dai genitori nel tempio era il Messia tanto atteso. Lo prende tra le braccia: quel bambino è la “luce che illumina le genti, la gloria del popolo Israele”. Simeone è raffigurato vecchissimo, quasi cieco. Egli non vede il bambino Gesù con gli occhi del corpo ma della fede, in una visione interiore e spirituale. Come sempre Rembrandt non solo è un grande pittore, è anche un finissimo esegeta.