25 novembre 2014: La modernità per Baudelaire

Per Baudelaire il concetto di moderno, così spesso abusato ed equivocato, non ha alcuna connotazione di carattere temporale. È categoria di giudizio che inerisce all’opera d’arte presa per se stessa.
Che cosa vuol dire? Che un’opera d’arte non è moderna perché è recente o perché anticipa qualcosa che verrà, ma perché è piena di vita (e la vita è sempre attualità), di sentimento, di forza immaginativa, e dunque in irrisolvibile contrasto con l’opera retorica, artificiosa, stancamente e banalmente ripetitiva. Un’opera è moderna quando l’espressione di poesia che vi è contenuta (figurativa, plastica, letteraria ecc.) sgorga autentica e originale dalla vita presente, dal momentaneo, dal passeggero, da quanto il poeta sente qui e ora degli uomini, delle cose, dei tempi, degli spazi, dei fatti che sostanziano la sua vita. Ogni grande artista è “moderno”.
Vedi Il pittore della vita moderna (1863), cap. IV “La modernità”: «E così egli va, corre, cerca. Ma che cosa cerca poi? Si può essere certi, così come io l’ho ritratto, quest’uomo, questo solitario di un’immaginazione così attiva, sempre in viaggio attraverso il gran deserto degli uomini, persegue un fine più alto di quello di un semplice perdigiorno, un fine più vasto, e diverso dal piacere fugace della circostanza. Egli cerca quell’indefinito che ci deve essere permesso di chiamare la modernità, giacché manca una parola più conveniente per esprimere l’idea a cui rimanda. Il segreto è, per lui, di distillare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nella trama del quotidiano, di estrarre l’eterno dall’effimero. […] La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile. Vi è stata una modernità per ogni pittore antico; e la maggior parte degli splendidi ritratti che ci restano dei tempi passati indossano i costumi del proprio tempo. Essi sono perfettamente armoniosi dal momento che il costume, l’acconciatura e persino il gesto, lo sguardo, il sorriso (ogni epoca ha il proprio portamento, il proprio sguardo e sorriso) formano un insieme di una compiuta vitalità. E questo elemento transitorio, fuggitivo, dalle metamorfosi così frequenti, nessuno ha il diritto di disprezzare e di trascurare. Quando lo si sopprime, si cade per forza nel vuoto di una bellezza astratta e indefinibile, quale fu quella dell’unica donna vivente prima del peccato originale» (Opere, Milano, Mondadori – I Meridiani, 2001, pp. 1285-1286).