14 febbraio 2015: Giuseppina Osio e Ignazio Bellini: la poesia dei muri

L’amico Arialdo Ceribelli mi ha chiesto di scrivere una breve introduzione alla esposizione di immagini di Giuseppina Osio e Ignazio Bellini, che si terrà nella sua Galleria in via S. Tomaso 86 a Bergamo, a partire dal prossimo 21 marzo. Questo il testo che ho preparato.

All’inizio c’è un muro, alto, imponente, di grosse e ben squadrate pietre grigie. Sta lì, davanti a casa, accomunato per abitudine alle altre domestiche cose del piccolo mondo quotidiano. Apprese, ancora bambina, che serviva per la difesa della Città. Che altro sapere?
Poi, un giorno scoprì, stupita e meravigliata, che quel muro, visto tutti i giorni e da tanti anni, in realtà non l’aveva guardato mai. Servì, per quella rivelazione, che fosse un giorno di grazia e giorno di pioggia.
Le pietre bagnate prendevano colori, riflessi, vibrazioni, a seconda dell’ora, che parevano non chiedere altro agli occhi che di contemplare e alla mente di immaginare. Era un altro muro, percepito e sentito nella composta regolarità della sua bella tessitura, nella coesione forte della sua esistenza disinteressata. Disinteresse agli usi difensivi per i quali era stato eretto, disinteresse a funzionalità costruttive, disinteresse anche agli usi allegorici e simbolici, come “cittadine infauste mura” (Leopardi) o “seguitare una muraglia” (Montale), per dire separatezza, confine, limite. Muro che non serviva ad altro che a parlare della sua pura forma.
Inizia per l’artista un iter secretum. Avverte una risonanza interiore, che urge di essere espressa. Ha bisogno di invenzione e di tecnica. Trova l’una nella sua immaginazione, l’altra nella camera digitale e nel computer.
Andando lungo le mura che circondano l’Alta Città di Bergamo, Giuseppina Osio scatta più di settecento fotografie, in giorni umidi di pioggia, naturalmente. Seleziona, scarta, trasceglie. Alle immagini di più ampia veduta predilige il frammento. Esso esalta il reticolo geometrico della composizione, la sagomatura della pietra e la sua fantasiosa superficie scabra e porosa, gli interstizi che disegnano incisivi contorni neri, le minutissime vite, come del ciuffo d’erba, che danno al frammento l’aura d’un segreto microcosmo.
L’ouverture dell’esposizione è breve sinfonia che varia per quattro volte lo stesso tema. Accentuazione dei riflessi e dei contrasti di luce e ombra, lievi viraggi di tono restituiscono, meglio sarebbe dire trasfigurano, il muro in superficie diafana, liquida e guizzante come l’increspatura del mare. Bellezza formale dell’ossimoro nella poesia dell’artista: vedere un’onda nella durezza di una pietra.

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All’ouverture della solista segue una musica per immagini con due interpreti. Alla Osio si affianca Ignazio Bellini.
Anche Bellini è stato colpito dalla poesia dei muri. Per lui, muri indiani, di edifici civili, religiosi e di difesa, scoperti, amati e fotografati, andato in pellegrinaggio nei venerati luoghi di quella antica e grande civiltà. Muri saturi di storia e di cultura, testimoni di umanità e di vita, maestosi o umili, decorati o spogli, lisci o scrostati, dritti o sghembi, in ogni caso sgargianti e scintillanti nelle tonalità cromatiche del fascinoso Oriente.
I due artisti, ignari l’uno del percorso dell’altro, si incontrano. Mettono in comune il tesoro delle loro immagini, condividono i sentimenti che le hanno originate, sono ambedue mossi dalla stessa passione per il libero gioco di intelletto e immaginazione. Prende forma un’idea creativa: dare vita, con la rielaborazione al computer, a nuove immagini, che siano visioni di nuovi muri, reali e fantastici insieme, in cui contaminazioni, sovrapposizioni, intersecazioni, accostamenti di colori, linee e forme di muri di civiltà diverse e lontane, producano sorpresa visiva e rinnovato incanto. Anche gli antichi costruttori delle mura venete – per gioco? per piacere dell’occhio? – inserirono nella fitta e omogenea tessitura delle pietre grigie, qui e là, una sorprendente pietra bianca. Tutti i linguaggi poetici vivono e si nutrono di contaminazioni e di inserti. Spezzano abitudini, rinvigoriscono la fantasia, fanno scorrere per osmosi linfa nuova, aprono vie ignote, tengono alta la libertà.

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Nelle immagini che scorrono davanti ai nostri occhi, contaminazioni, accostamenti, inserti compongono volute armonie, in cui è tuttavia sempre amabilmente assecondata la ricerca della forza di contrasto a fini espressivi. Inserti di muro indiano, una o più pietre di brillante colore che si incastrano tra le pietre delle mura venete, un intonaco macchiato, un graffito, un foglio affisso, hanno la funzione di note cromatiche dominanti o di elementi di discontinuità per asimmetria, imprevedibilità, bizzarria.

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L’inserto che compare nell’ultima immagine, la maniglia di un cassetto, non viene da alcun muro indiano. E’ libera invenzione dei due artisti. Lo interpreto come metafora della loro ricerca. I muri, se osservati con occhio limpido, curioso, inventivo, ci parlano, svelano segreti, raccontano storie delle loro forme e dei loro colori. Se apriremo il cassetto metaforico di questo muro potremo vedere che cosa c’è dentro o che cosa c’è al di là del muro. Ciascuno immagini ciò che vuole: imitando l’estro degli artisti, si faccia anch’egli per un attimo poeta.

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Io immagino di trovarvi il foglio un poco sgualcito di un antico codice di fine Quattrocento che reca – guarda la coincidenza – un bellissimo passo del Libro della pittura di Leonardo da Vinci, che dice: «Non resterò però di mettere infra questi precetti una nova invenzione di speculazione, la quale, benché paia piccola e quasi degna di riso, nondimeno è di grande utilità a destare lo ʼngegno a varie invenzioni, e questo è, se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti: se arai a invenzionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine di diversi paesi ornati di montagne, fiumi, sassi, albori, pianure grandi valle e colli in diversi modi: ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. Entreviene in simili muri e misti come del sòno di campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocavolo che tu immaginerai» (Il libro della pittura, A 102 v.).