28 febbraio: Appunti gennaio-febbraio 2015

Vedute dal Monte Pora, 2 gennaio 2015: Lago d’Iseo e Presolana. Il nuovo anno inizia bene. Osservare è più importante che possedere. Invecchiando sviluppo in me l’arte di guardare tranquillamente ed esteticamente.

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Nella traduzione di un testo poetico il traduttore deve sentirsi libero di trasferire nella sua lingua, come meglio crede, l’afflato lirico del testo originale, ma non fino a stravolgerne il senso. Mi piace il traduttore che mantiene inalterate le immagini plastiche dell’originale evitando di sostituirle con generalizzazioni concettuali. Confronto le traduzioni dei sonetti di Keats di Silvano Sabbadini e di Roberto Cresti. Anche se meno letteraria, la traduzione di Cresti (Sonetti, Garzanti, 2000) è più rispettosa dell’originale.

Passeggiata, oggi 6 gennaio, alla Malgalonga, da qui al Monte Sparavera m. 1369, quindi ridiscesi a Valpiana di Gandino per il bel bosco di Monte Barzena. Fioritura di ellebori.

Giovanni Comisso, Giorni di guerra, in Opere, Mondadori (I Meridiani) 2011, pp. 323-469. Piaciuto molto, bella scrittura, nessuna retorica, tono celere e leggero, senso di vita, libertà, verità.

Visitata oggi 8 gennaio a Bologna la mostra di Giovanni da Modena; ne scrivo nel Diario. Il pomeriggio alla Pinacoteca Nazionale. Musei, non solo italiani, sempre vuoti, mentre alle mostre c’è la ressa. Solo questione di pubblicità, di omologazione passiva di comportamenti collettivi? Spesso molti musei, soprattutto italiani, vecchi nelle strutture e nella concezione, non invogliano i giovani a frequentarli. Lunga osservazione del Crocifisso di Giovanni da Modena.

Mi ha impressionato il Crocifisso di Giovanni da Modena. Apparteneva al Convento di S. Francesco. Gli studiosi lo datano al 1415. Di straordinaria drammaticità, originale nell’iconografia, croce nera su fondo oro, rivolo di sangue dal costato al ginocchio, chiodi neri e grossi come pioli, necessari per reggere un corpo (naturalismo tardogotico); capelli lunghissimi come di un vero nazireo, braccia esili e stese nello stile giottesco. Il volto purtroppo è quasi del tutto invisibile per caduta di colore, ma si intuisce che doveva essere dritto, frontale e fortemente scorciato.

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Accompagno la rilettura del Decameron di Boccaccio con la lettura per la prima volta dei Racconti di Canterbury di Chaucer e delle Trecentonovelle di Franco Sacchetti. Sacchetti, rispetto ai primi due, ha meno forma, anche meno pensiero, ma possiede più ritmo, è più imprevedibile e più semplice, in alcune scene è di una comicità esilarante mai eguagliata né da Boccaccio né da Chaucer; nei discorsi diretti è naturale e vero. Chaucer è una miniera inesauribile di similitudini, collegate al valore simbolico dei bestiari, degli erbari e dei lapidari medievali, una prosa che procede per sentenze, aforismi, proverbi, consigli pratici di vita senza pretese moralistiche, con visione del mondo duttile e antidogmatica che si confà al mio carattere e alla mia concezione della vita.  Boccaccio dei tre ha sicuramente più forma, più arte, più senso plastico e più pensiero.

Novella XL di Sacchetti (Utet 2008, p. 155): perché studiare legge? È tempo perso, tanto oggi conta di più la forza della legge. In questa lapidaria considerazione le condizioni politiche dell’Italia tra fine XIV e inizio XV secolo.

Chaucer: «Un marito non deve essere curioso dei segreti di Dio né di quelli di sua moglie. Purché egli possa trovare in casa un po’ di grazia di Dio, non ha bisogno di indagare il resto» (I racconti di Canterbury, BUR 1998, Il racconto del mugnaio, p. 102).

Il sig. Edoardo Ferrarini di Bologna, lette le mie note dell’8 gennaio sul viaggio di ritorno per mare dei Re Magi, affrescato da Giovanni da Modena in San Petronio a Bologna, mi fa conoscere una tavola conservata al Clark Art Institute di Williamstown, Melchiorre che attraversa il Mar Rosso (così intitolata nella Fototeca Zeri), che l’Istituto americano attribuisce al Pesellino, e che titola King Melchior sailing to the Holy Land [ Re Melchiorre che salpa, veleggia, verso la Terra Santa] (cm. 65,1×69,8), ritenendo quindi che si tratti del viaggio di andata del re verso la terra santa. Per Giovanni di Hildesheim i re magi giunsero infatti a Gerusalemme ciascuno dal proprio paese, poi, incontratisi a Gerusalemme e saputo che vi erano giunti per lo stesso motivo, insieme si recarono a Betlemme. Per Giovanni di Hildesheim re Melchiorre veniva dall’Arabia e dalla Nubia: in nessun punto del testo dice che Melchiorre arrivò in Palestina navigando sul Mar Rosso ma lo lascia intuire. Perché non ipotizzare che all’origine esistessero tre scomparti (di una grande predella, di un polittico?) ognuno dei quali illustrava la partenza di ciascun re dalla sua propria terra? Oppure si può fare un’altra ipotesi: che la tavola di Williamstown facesse parte di una tavola orizzontale (tipo Tebaide dell’Angelico agli Uffizi) con la partenza dei re magi per aliam viam, cioè per mare, per far ritorno in Oriente, e che vi fossero raffigurate tre navi una per ciascun re, tavola poi divisa ecc. ecc., ma è ipotesi meno convincente, perché sulla riva si vedono dignitari che salutano la partenza del re, cosa impensabile per l’imbarco di ritorno in Oriente che dovette avvenire, come il testo evangelico lascia capire, di fretta e non palese.  Elementi compositivi e figurativi mostrano che l’autore di questa tavola potrebbe aver visto l’opera di Giovanni da Modena.

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Il prof. Gian Maria Varanini mi chiede di scrivere per il Dizionario Biografico degli Italiani la voce Porzi Giovanni Rocco, iniziatore della Congregazione dell’Osservanza agostiniana di Lombardia nel 1439 con la fondazione del Convento S. Agostino di Crema. Spedire il testo entro giugno.

Simone Facchinetti mi dona oggi, 21 gennaio, l’opuscolo che ha pubblicato in occasione della mostra su Giovanni Battista Moroni, da lui curata con Arturo Galansino alla Royal Academy of Arts di Londra. Col titolo Moroni a Londra appare nella collana “Arrigoniana”, edizione fuori commercio, stampa Press R3 di Almenno San Bartolomeo (Bergamo). Si compone di due parti, testo e fotografie. Nella prima sono le «impressioni, a caldo, [stese] tra il 20 e il 21 ottobre», a mostra ormai allestita e che sarebbe stata aperta al pubblico il 25 ottobre: impressioni annotate «pensando agli amici che non avrebbero potuto vedere la mostra [….] un modo – scrive Facchinetti – per raccontarla a briglie sciolte, seguendo l’onda emotiva del momento». Il breve testo si fa leggere con grande piacere: vi si mescolano, con semplicità e arguzia, note erudite e sensazioni soggettive, storia di Moroni e storia di sé come appassionato cultore dell’eredità moroniana. La seconda parte dell’opuscolo è costituita da una bella serie di splendide fotografie delle sale della mostra, scattate da Lidia Patelli, moglie di Facchinetti, fotografa di professione. La gradazione di luci e di ombre, le variate cromie dei quadri, appesi con intelligenza su pareti grigie e amaranto, la voluta ricerca di luminosi riflessi delle scintillanti cornici dorate, le perfette inquadrature, il taglio sapiente degli scorci, conferiscono alle immagini l’incanto di un mondo di raffinati colori, di linee pure e schiette, di uno spazio quasi sublimato. Avrei visto volentieri anche il nome di Lidia accanto a quello di Simone al frontespizio di questo librario bijoux.

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Bella passeggiata oggi 24 gennaio: da Lonno al Monte Podona, scesi a Salmezza, ritornati a Lonno per il sentiero 534. Lungo la ripida salita al Podona spiccano tra affioranti roccette e l’erba secca cuscini d’erica di rosso vivo. Dalla cima del Podona, una delle prime propaggini del sistema montuoso bergamasco, si gode un panorama vastissimo: dalle vicine montagne della Valle Seriana lo sguardo si allarga ai monti Guglielmo e Campione, alla Presolana, al Menna, alle Grigne, al Resegone, e lontanissimo al gruppo del Rosa e al Monviso. Sosta alla chiesetta di Salmezza, che ora, dopo i lavori di restauro, ha un colore giallo canarino che non le si addice proprio. Alla sorgente della Nesa, che ho fotografata, il pensiero alla poesia delle sorgenti di Gustave Courbet.

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Emilio Cecchi ama esibire l’arte della sua prosa forbita. Ricordo il mio professore d’Italiano al Liceo: «Cecchi è una caramellina in bocca». Rileggendo in questi giorni alcune sue prose ho l’impressione che per eccesso di decoro formale la scrittura sopravvanzi in lui le cose, l’ornamento domina l’espressione. Nei Diari è più libero, immediato, schietto, la scrittura è più sobria, semplice, piena di vita, e quindi anche più bella.

Ottima recensione della mostra di Constable al Victoria and Albert Museum sul The Burlington Magazine, gennaio 2015, pp. 27-31, a firma di Anne Lyles. a) Breve rassegna critica delle mostre e degli studi degli ultimi quindici anni; b)finalità della presente mostra, che consiste nel fornire, col supporto di ampia documentazione, un ritratto di Constable finora mai indagato a sufficienza: formazione giovanile, interesse per gli antichi maestri del paesaggio, in particolare Rubens, Lorrain e Ruysdael, notevole lavoro di copia dai maestri per assimilare composizione ed effetti, conoscenza della letteratura estetica e artistica da Leonardo da Vinci a Reynolds; c) presentazione sala per sala delle principali opere esposte e loro rapporto con la finalità della mostra. Un modello di recensione, da ricordare.

Lettura di Theodor Fontane, Il signore di Stechlin, Garzanti 1985, non all’altezza di Effi Briest.

Terminato, dopo sei anni di lavori, il restauro della Cappella Teodolinda nel Duomo di Monza. Nei prossimi tre mesi si può salire sui ponteggi per ammirare da vicino le splendide pitture murali. Prenotare la visita al numero 039 326383.

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A Vicenza, oggi 13 febbraio, per la mostra alla Basilica Palladiana,Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento, di Marco Goldin. Le mostre di questo eccentrico curatore sono spesso, come questa, d’argomento pretestuoso e mal definito nell’oggetto e nella cronologia, con apparati più di gusto letterario che di argomento storico-critico. Però Goldin, e questo torna a suo merito, sa ottenere prestiti di capolavori da tutti i musei del mondo. Io vado alle sue mostre come se andassi a visitare una pinacoteca, sicuro di  vedervi sempre bei quadri. Alcuni amici, anche storici dell’arte, dicono che non andranno mai a vedere una mostra di Goldin. Non fanno un torto a Goldin ma a se stessi. Viste qui a Vicenza opere straordinarie: la Santa Caterina d’Alessandria di Tiziano da Boston (1567 circa), San Francesco in estasi di Caravaggio (1595 circa) e la commovente Crocifissione di Poussin (1646) ambedue da Hartford, i Pescatrori di Turner da Southampton (1802), tre incantevoli marine di Friedrich da Lubecca, la Notte di Natale di Gaugin da Indianapolis (1903 circa), il meraviglioso N. 202 (Arancione e marrone) di Rothko da Detroit (1963). Quando mai rivedremo questi quadri in Italia?  Prima di entrare in mostra, sosta nella Chiesa di Santa Corona per il Battesimo di Gesù, 1500-1502 circa, capolavoro di Bellini, inquadrato dal meraviglioso altare di Rocco da Vicenza, 1501; l’Adorazione dei Magi di Veronese, 1573; il ricchissimo altare maggiore, 1669, con le preziose tarsie in marmo del fiorentino Francesco Antonio Corberelli, 1670.
Pranzato molto bene alla Trattoria Righetti in Piazza Duomo, polenta e baccalà.

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Programmo nei dettagli il viaggio negli Stati Uniti, con partenza il 30 aprile: New York, Boston, Williamstown, Philadelphia, Washington. Un viaggio tra quadri e libri.

Da leggere: Paolo D’Angelo, Filosofia del paesaggio Macerata, Quodlibet, 2015; Piergiorgio Strata, La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Roma, Carrocci, 2015; Carlo Ossola, Erasmo nel notturno d’Europa, Milano, Vita e Pensiero, 2015.

Nella liturgia di oggi, Mercoledì delle Ceneri, 18 febbraio, all’antifona d’ingresso: «Tu [Signore] ami tutti gli esseri e non detesti nulla di quanto hai fatto» (Sapienza 11,24). Non si fonda su queste parole ogni forma di ottimismo?

Sul numero di febbraio del The Burlington Magazine, alle pp. 133-134, compare a firma di Richard Green la recensione del film Mr Turner, di cui ho scritto in questo Diario alla data 1° febbraio. Nelle mia nota avevo avanzata l’ipotesi che l’infelice riuscita nel film della parte del giovane Ruskin fosse dipesa da un cattivo doppiaggio. Non è così, e mi scuso col doppiatore italiano. La colpa, per il recensore inglese, è tutta dell’attore Joshua Maguire, per nulla all’altezza del personaggio: “But Joshua Maguire’s portrayal of the young Ruskin as prim and prissy – not even looking the part – seems out of kilter with the film’s overall key and otherwise perfect casting”.

Ho consegnato a Marcello Eynard il saggio su Luigi Chiodi direttore della Biblioteca Civica Angelo Mai (1957-1978), che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Bergomum”. Ho messa troppa fatica a scrivere questo saggio e non sono per nulla contento.

Il prof. Enzo Noris, Presidente della Società Dante Alighieri, Sezione di Bergamo, mi invita a leggere in pubblico, il 15 aprile, alle ore 18.00, nella struttura Domus Bergamo, allestita per l’Expo, i primi due canti del Paradiso. Altri lettori seguiranno nei mercoledì successivi. Ciascuno leggerà due canti. Come riuscire a interpretare il canto II, così ostico per via di quelle benedette macchie lunari? Mi voterò, come l’autore, a Minerva, ad Apollo e alle nove Muse.

Nel volgere di pochi giorni ascoltati due trii di Beethoven: il Trio in do minore n. 3 Op. 1 alla Società del Quartetto, lunedì 23 febbraio (Trio “Suoniamo insieme?” con una giovanissima Maristella Patuzzi al violino); e il Trio in si bemolle maggiore op. 97 “Arciduca” in Sala Piatti, Incontri europei della musica, oggi 28 febbraio (“Trio di Milano”, con Massimo de Biasio al violino). Due opere incantevoli; nell’ascoltare il monumentale e sublime Andante dell’op. 97 preso da straniante esaltazione, immedesimato col suono, via dalle volgarità e dalle miserie della vita, via da ogni interesse. Il tempo dato a un buon concerto non è mai perso, è il miglior nutrimento dell’anima.

Sempre di più nelle nostre chiese altari spogli, desolati e disadorni, come fosse un perenne Venerdì Santo. Gli splendidi candelabri d’argento, i reliquari, le tovaglie con ricami finissimi: tutto il decoroso arredo liturgico, frutto dell’amore e dell’operosità di generazioni di fedeli, è rimosso dagli altari in ossequio a nuovi princîpi di esibita austerità. Poi capita di ritrovare questi oggetti bellissimi nei musei di arte sacra. Che contraddizione!

Nel conservare memoria di quel che si vede, si sente, si legge, dando ordine a tutto, si vive più intensamente, il passato ridiventa nostro e il futuro si dischiude più dolcemente.