25 novembre 2013: Ghiberti e Brunelleschi

Alla mostra allestita al Louvre, La primavera del Rinascimento. Scultura e arti a Firenze 1400-1470, i visitatori si affollano, ammirati, davanti alle due formelle bronzee raffiguranti Il sacrificio di Isacco, l’una di Lorenzo Ghiberti l’altra di Filippo Brunelleschi, realizzate nel 1401 per il famoso concorso della porta settentrionale del Battistero di Firenze.
Le due formelle, esposte accostate e con buonissimo lume, annunciano la primavera del rinascimento come un ciliegio in fiore annuncia la nuova stagione in un giorno di pieno sole. Due splendidi capolavori che catturano gli occhi dei parigini.
Mentre, come sono solito fare, annoto sul taccuino le mie impressioni, un anziano signore che mi è vicino, molto distinto nella persona e nei modi, forse incoraggiato dal vedermi scrivere mi chiede che cosa penso delle due opere. Secondo lui, dice, Ghiberti è più armonioso, più dolce, i corpi di Abramo e di Isacco sono già pienamente rinascimentali. Capisco subito che è un visitatore attento e competente: l’appunto sui corpi di Abramo e di Isacco è giusto. Capisco anche che preferisce la formella di Ghiberti. Ha ragione, gli dico, ad apprezzare l’armonia delle linee e l’equilibrio dei volumi di Ghiberti, tuttavia aggiungo di preferire personalmente Brunelleschi , e gli mostro perché. Mi infervoro a fargli osservare il movimento e la tensione che Brunelleschi ha saputo infondere nella scena, riuscendo a rappresentarci con viva immaginazione e con sentimento la drammaticità del momento; gli faccio vedere la naturalità del gesto col quale Abramo afferra per il collo Isacco deciso a sgozzarlo, e il fulmineo intervento dell’angelo che ferma, all’ultimo istante, la mano del padre; l’angelo del Ghiberti, a confronto con quello di Brunelleschi, pare spettatore assente, non coinvolto nel dramma; e il corpo di Isacco del Ghiberti è troppo bello, troppo esibito ai nostri occhi, troppo romano, mentre Brunelleschi fa tenere a Isacco, che ha il corpo di un vero adolescente, la posa naturale di una vittima impaurita.
Discorriamo, come avranno discusso i membri fiorentini della commissione di concorso. Risultato: l’anziano signore, persona sicuramente colta perché mostra di conoscere bene, meglio di me, i pezzi esposti e i loro artisti, tra i quali Masaccio, Donatello, Filippo Lippi, Andrea Della Robbia, decide di seguirmi lungo tutto il percorso della mostra volendo sentire, di ogni capolavoro, il mio giudizio. Per un verso sono lusingato, per un altro contrariato. Se c’è infatti una cosa che desidero davanti a un’opera d’arte è il silenzio, mio e degli altri.
Giunti nell’ultima sala, nella quale sono esposti i busti di Rossellino, Mino da Fiesole  e Desiderio da Settignano, faccio osservare al mio interlocutore che collocare i busti su un doppio piedistallo, come hanno fatto qui a Parigi, costringendoci a guardarli da sottinsù, non va bene. Per apprezzarne la bellezza e il valore, un busto va osservato alla nostra altezza. A questo punto l’anziano signore mi chiede se in Italia faccio il conservatore di museo o lo storico dell’arte. No, gli rispondo – sono un bibliotecario in pensione, un bibliothécaire en retraite – . E’ parso deluso della mia risposta. Non so se per il bibliotecario, per la pensione, o per tutti e due.
Dimenticavo: il concorso a Firenze fu vinto da Lorenzo Ghiberti.

      

Lorenzo Ghiberti                                                             Filippo Brunelleschi