20 gennaio 2014: Raffinatezze dell’età di Augusto

Il giudizio più bello sulla mostra Augusto, allestita alle Scuderie del Quirinale, l’ha espresso Liliana al termine della visita: – una mostra felice -.
C’è tutto in questo aggettivo: la gioia per le molte emozioni provate passando incantati da un oggetto all’altro, il desiderio irrefrenabile di condividere la gioia rincorrendoci per indicare l’uno all’altra, e viceversa, le belle cose esposte che più ci colpivano.
Alla chiusura della mostra, ore Venti, eravamo rimasti noi due soli nelle sale. E se gentilmente, ma con fermezza, i sorveglianti non ci avessero invitati  ad uscire, chissà per quanto tempo saremmo rimasti lì ad ammirare i pezzi, di squisita raffinatezza, del servizio d’argenteria del tesoro di Boscoreale, scoperto nel 1895 sulle pendici del Vesuvio, circa 3 chilometri a nord di Pompei; o le decorazioni al vasellame di ceramica sigillata, con scene del mito e del simposio; o i monili d’oro da cui Liliana non staccava gli occhi; o i pannelli in vetro cammeo con le storie di Dioniso ed Arianna; o le gemme e i cammei in calcedonio, agata, sardonica, corniola.
Il cammeo con ritratto idealizzato di Augusto, oggi alla Bibliothèque Nationale de France, apparteneva un tempo al tesoro dell’Abbazia di Saint-Denis: non è che l’avrà portato in Francia l’abate Sugerio nel corso di uno dei suoi viaggi a Roma, donde avrebbe voluto portar via, per la sua basilica in costruzione, anche le colonne delle Terme di Diocleziano?
Siamo rimasti a lungo ad osservare il fregio monumentale di marmo lunense con girali di acanto e sfingi, che gli esperti assegnano al 20 a. Cr., ritrovato nel 1888 in via Boncompagni, nell’area degli antichi horti sallustiani, oggi ai Musei Capitolini. Una natura sempre più rigogliosa invade l’intero campo decorativo; l’elemento vegetale assume una straordinaria naturalezza, stilizzata e lussureggiante, ora in boccio ora in piena fioritura; fiore che nasce da fiore, continua gemmazione di nuove forme dalla docile materia.
Per un’ora (è qui che il tempo ci è volato) siamo stati come rapiti da tre grandi lastre con rilievi bellissimi, riunite per la prima volta in questa mostra: due provenienti dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, la terza dal Museo Archeologico Nazionale di Palestrina. Le lastre quadrangolari, dalla superficie concava e tutte dotate di fori per il passaggio dell’acqua, rivestivano le nicchie semicircolari di una struttura che doveva trovarsi nel monumento di Verrio Flacco situato nel foro più antico di Praeneste. Le tre scene, inserite in un paesaggio idilliaco, di cui abbiamo goduto ogni notazione naturalistica, raffigurano il parto di una pecora, di una cinghialessa e di una leonessa, che simboleggiano probabilmente, secondo gli studiosi, le quattro stagioni: il parto della pecora avviene di fatti in inverno, in primavera quello della leonessa, in estate quello della cinghialessa, in autunno quello della mucca, la cui lastra oggi non è nota, ma della quale sarebbe stato identificato recentemente un frammento al Museo di Budapest.
La predilezione nell’antica Roma per motivi bucolici e naturali, agresti e floreali raggiunge il suo apice nell’età augustea, nuova età dell’oro per la pace recata dal principe dopo decenni di lotte civili, con rilievi e pitture, stupende quelle della villa di Livia che sono al Museo di Palazzo Massimo, destinati a decorare pareti, parchi e ninfei di domus aristocratiche e di grandi ville suburbane. Ad ogni pezzo che ammiravo di questa arte plastica e figurativa, venivano alla memoria versi di Virgilio e di Orazio, coevi di quest’arte, e di cui, come me  in quel momento, ne avranno goduto e ammirato le forme. Forse è stata questa risonanza interiore di due espressioni artistiche per un medesimo sentimento, non retoriche le prime, vero il secondo di quieta serenità e umanità, a infiammare la mia immaginazione.
Appena usciti dalla mostra, meglio sarebbe dire buttati fuori, con sorpresa ritroviamo Roma sotto una pioggia battente; siamo senza ombrelli, e per le Venti, come prenotato, dobbiamo essere al ristorante Il Pompiere, nel Ghetto, che non conosciamo.
Che fare? Chiamare un taxi? Costa troppo. Già ci costerà la cena. Badando di stare il più possibile rasente ai muri, scendiamo con passo veloce dal Quirinale a Piazza Venezia e poi, per via delle Botteghe Oscure, entriamo nel Ghetto.
Dove giunti, sotto un’acqua che non cessa, per vicoli stretti  e bui, con pozzanghere ogni tre passi, ci perdiamo. Dove sarà questa via Santa Maria de’ Calderari? Mentre Liliana comincia a maledire chi ha scelto di andare a cena in un posto fuori del mondo nel cuore di Roma, ho l’imprudenza di dire che questa è la vera Roma, la Roma di Gogol, altro che Parigi coi suoi moderni e tutti uguali boulevards. L’esasperazione di Liliana raggiunge il livello massimo quando nel bel mezzo di situazioni critiche io penso di cavarmela con una citazione letteraria. Per fortuna un dio benevolo ci fa trovare, come d’incanto, Il Pompiere, e all’acqua che scroscia non s’aggiunge, con mio sollievo, una tempesta di improperi.
Entriamo nel locale, caldo e accogliente, bagnati fradici, ridotti come lo possono essere due turisti che per tutto il giorno hanno vagabondato per la città, non giacca e cravatta, non scarpe con tacco e borsetta firmata. Ai tavolini candele accese e gente elegante. Noi due non sembriamo venire dalle raffinatezze dell’età augustea ma sputati lì, direttamente, da un orco marino. Incrocio la pietosa occhiata di una sorpresa signora. Ma i camerieri, che badono al sodo, sono gentilissimi. Asciugati e rassettati come meglio possiamo, seduti comodamente anche noi a un tavolino con la candela accesa, eccoci serviti: carciofi alla Giudia, bucatini all’amatriciana, cotolette d’abbacchio panate. Vino? Della casa, per cortesia.

Il catalogo della mostra Augusto è veramente ben fatto, con belle illustrazioni, con brillanti saggi introduttivi ricchi di informazioni, con ottime schede; un solo piccolo difetto: il margine interno troppo stretto, che costringe il lettore a premere sulla legatura, che non sarebbe mai da fare, per leggere le ultime parole di ciascuna riga (Augusto, Progetto di Eugenio La Rocca, a cura di Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce, Annalisa Lo Monaco, Cécile Giroire, Daniel Roger, Milano, Electa, 2013).

Immagini: 1. Rilievo a girali dagli horti sallustiani, 20 a.Cr. circa, particolare (Roma, Musei Capitolini); 2. Coppa d’argento con foglie di platano, dal tesoro di Boscoreale, fine I sec. a. Cr, inizio I sec. d. Cr. (Parigi Museo del Louvre); 3. Cammeo di Augusto, sardomica, 25 a. Cr. circa, montatura sec. XIV, già Tesoro dell’Abbazia di Sant-Denis (Parigi, Bibliothèque Nationale de France); 4. Lastra con cinghialessa, fine I sec. a. Cr., Palestrina (Palestrina, Museo Archeologico Nazionale);