13 luglio 2014: Carteggio Thomas Mann-Hermann Hesse

A chi ama le opere di Thomas Mann (1875-1955) e di Hermann Hesse (1877-1962), o anche solo di uno dei due, consiglio la lettura del loro carteggio, curato da Anni Carlsson e Volker Michels, in edizione italiana SE srl, Milano 2001. Molto bella l’Introduzione di Volker Michels, assolutamente da leggere (pp. 9-36), che non si limita a inquadrare le lettere nella cornice biografica dei due scrittori, ma conduce con sensibilità critica e gradevole scrittura un confronto tra i due, una sorta di “vite parallele” di gusto plutarcheo, da cui sortiscono affinità e divergenze.
L’amicizia tra i due scrittori, che si fa sempre più salda a partire dalla fine degli anni Venti, si fonda su una profonda e reciproca stima. Ciascuno dei due legge con soddisfazione e ammirazione le opere dell’amico e ne coglie l’alto valore letterario con schietti e acuti giudizi. Li lega il comune amore per la grande cultura tedesca. Condividono la sofferenza per la tragica condizione della Germania nazista.
Tuttavia la mia impressione è che l’amicizia tra i due, vivamente sentita nonché ragione di vicendevole arricchimento spirituale, non abbia mai varcato la soglia della più amabile formalità: Thomas Mann ed Hermann Hesse non si sono mai aperti veramente il cuore. Conoscendo l’uno il mondo spirituale dell’altro, e trovandolo diverso dal proprio, ambedue devono aver avvertito che un’intimità era impossibile, e forse nemmeno auspicabile. Si daranno sempre del lei sino alla fine. Meno intimità non vuol dire meno verità. Nel salvaguardare un margine di distacco, le personalità dei due corrispondenti emergono con contorni più netti.
Erano diversi per origini e ceto sociale: l’uno, Mann, figlio dell’alta borghesia anseatica, intraprendente e realizzatrice, l’altro, Hesse, figlio di missionari evangelici svevi, ferventi di pietismo luterano. Erano diversi per indole creativa, più oggettivo, di ispirazione epica, propenso all’analisi dialettica Mann, più poetico, spontaneo, convincente Hesse; diversi per gusto, Mann ama Wagner, Hesse lo detesta; diversi per stile di vita, Mann estroverso, attento alla propria immagine pubblica, Hesse solitario, schivo dell’ufficialità, restio ad ogni forma di pubblicità. Mann crede nell’azione politica, nella sua utilità, in questo influenzato dal fratello Heinrich, Hesse è diffidente, scettico. Mann rimane sempre tedesco, Hesse fin dagli anni Venti non si sente più tedesco, rifiuta ogni forma di nazionalismo, si fa cittadino svizzero ma in realtà è un cosmopolita. Mann vuole salvare la Germania, che resta la casa cui un giorno spera di tornare quando l’immane tragedia sarà finita, per Hesse la Germania non esiste più. Le lettere che i due si scambiano, soprattutto quelle tra gli anni Trenta e Quaranta, rivelano quasi in filigrana, un parlare franco e diretto è raro, queste sottili differenze, preziose e istruttive per noi lettori dei due grandi scrittori.

Hesse: “Continuo a ritenere che l’intera vita e l’intera umanità non debbano venire sempre politicizzate, e mi difenderò fino all’ultimo respiro per non farmi a mia volta politicizzare. Dovranno pur esistere anche persone disarmate da poter uccidere! Io appartengo a questa parte dell’umanità e non concorderò mai con gli Schwarzschild  che considerano la poesia meno importante e necessaria dei partiti politici e della guerra” (lettera a T. Mann del 13 febbraio 1936, p. 132).
Hesse: “A proposito della ‘politicizzazione dello spirito’, presumo che non la pensiamo tanto diversamente. Se l’elemento spirituale sente il dovere di partecipare all’elemento politico, se la storia del mondo lo chiama a ciò, allora, secondo l’opinione di Knecht e mia, esso deve necessariamente seguire tale appello. Non appena invece la chiamata o la pressione viene dall’esterno, dallo stato, dai generali, dai detentori del potere (pressappoco come accadde nel 1914, quando l’élite intellettuale tedesca fu più o meno costretta a firmare appelli stupidi e falsi), allora deve opporsi con forza” (lettera a T. Mann dell’8 maggio 1945, p. 186).
Hesse: “Ancora una cosa: quel che ho scritto riguardo all’Europa nel Ringraziamento per me significa molto di più – ossia qualcosa di molto più positivo – che per Lei. L’Europa che io intendo non sarà uno ‘scrigno di ricordi’, ma un’idea, un simbolo, un centro di forza prirituale; allo stesso modo, per me, idee come Cina, India, Buddha, Kung Fu non sono bei ricordi ma quel che di più reale, intenso e sostanziale esiste. Il fatto che ora in Germania i malfattori e gli affaristi, i sadici e i criminali non siano più nazisti e non parlino più tedesco, ma siano americani, nel concreto mi è assai fastidioso, ma in linea teorica è un grande sollievo. Eravamo tutti costretti a sentirci in qualche modo corresponsabili della sozzura tedesca, ma di questa nuova non mi sento respoansabile, e, per la prima volta dopo decenni, scopro nel mio petto un moto di nazionalismo, che però non è tedesco ma europeo” (lettera T. Mann del 23 pottobre 1946, p. 198).

Augurio scritto da Thomas Mann per il settantacinquesimo compleanno di Hermann Hesse: “Arrivederci, caro vecchio compagno di strada in questa valle di lacrime, nella quale a entrambi è stata concessa la consolazione dei sogni, del gioco e della forma” (2 luglio 1952, p. 265).