15 agosto 2014: Due dita di vino, ma del più buono

Il 1° gennaio di quest’anno ho fatto il proposito di digiunare tutte le settimane il martedì sera. Salvo poche eccezioni, ho mantenuto fede a quell’audace proposito. Perché l’ho fatto? Chiedevo a me stesso maggiore sobrietà, bramavo rimuovere dalla mia vita tante cose superflue, inutili, ingombranti, ridurmi a più proficua essenzialità nella vita pubblica, nello studio, nelle letture, negli svaghi: perché, mi son detto, non anche nel modo di cibarmi, pur non essendo mai stato un mangione? Alla base di quella decisione nessuna idea di ascetica mortificazione, solo un vivo bisogno di leggerezza morale e fisica, di mente libera e serena, di moderati appagamenti: “la metà è più grande dell’intero, e un grande vantaggio si cela nella malva e nell’asfodelo” (Esiodo, Erga, 40-41).
Quello che all’inizio era un proposito, a seguito dei problemi di salute che ho avuti nel mese di marzo, è diventato un obbligo. Il medico chirurgo che mi congedò dall’ospedale dopo l’intervento alla cistifellea mi diede molti buoni consigli. Mi suggerì anche di non digiunare una sera alla settimana: era preferibile e più vantaggioso per la salute mangiare poco a tutti i pasti, e che potevo, mangiando poco, mangiare pure di tutto. – E il vino? – gli chiesi. – Due dita ad ogni pasto, ma del più buono.
Ora seguo queste raccomandazioni e sono molto contento. Quando siamo in giro per visitare città o musei, mi procuro il vino “più buono” in qualche apprezzata azienda vinicola di cui ho raccolto in precedenza le necessarie referenze. Il 7 agosto, ritornando a casa dalla Valle d’Aosta ci siamo fermati nella quieta e bella Carema per fare provvista di alcune bottiglie del famoso Nebbiolo.
Ora non digiuno più il martedì sera ma mangio poco ad ogni pasto. Le prime settimane avevo sempre una gran fame, adesso lo stomaco si è adeguato volentieri alle direttive della mente. Gli amici che mi incontrano, vedendomi dimagrito, ho perso 13 chili dal gennaio di quest’anno, mi chiedono se sono in dieta. No, non faccio nessuna dieta. Mi sono dato un regime di vita, seguo un’etica, non c’entra la dieta. Se poi anche la salute e l’aspetto fisico ne guadagnano, tanto meglio.
Cerco di conciliare Epicuro con s. Agostino. Per qualcuno sarà sforzo inutile conciliare l’inconciliabile, il diavolo con l’acqua santa. Non per me, che considero ambedue santi e maestri, ciascuno a suo modo. S. Agostino: “…quod salutis satis est, delectationi parum est…” (Confessioni X, 31, 44): ciò che per la salute del corpo è sufficiente non lo è mai per il piacere della gola; per il grande vescovo di Ippona mangiare poco è un bene per la salute ed è un freno per il piacere.  Epicuro: “una focaccia e un sorso d’acqua danno il più alto piacere a chi li gusti avendone realmente bisogno” (Epistola III, A Meneceo, 131, in Opere, Torino, UTET, 1974, p. 191). Anche Epicuro raccomanda di mangiare poco, ma non nega i diritti del piacere, che per lui (giustamente) è motivo di felicità; non certo del piacere di un cibo smodato e suntuoso, contrario alla salute e che quindi non potrà mai recare benessere, ma di un piacere più sottile, più vero, più efficace, che si prova nel nutrirsi con poco e con cibi semplici, naturali, genuini: è la filosofia delle due dita di vino, ma del più buono.
Risultato: sto diventando anche un buongustaio. Apprezziamo verdure e frutta di stagione, meglio se di produzione locale; prepariamo insalate miste molto sfiziose, insaporite con varie spezie; coltiviamo un piccolo orto e abbiamo la soddisfazione di vedere in tavola dapes inemptae, come diceva Orazio; durante le nostre escursioni cerchiamo erbe selvatiche, di cui apprendiamo usi e ricette; cuciniamo, variando nella qualità e nella preparazione, carni bianche, pesce, legumi, cereali; quasi tutte le sere buone minestre, anch’esse variate negli ingredienti e nei sapori; ogni tanto un poco di buon formaggio. Ogni tanto un dolce fatto in casa. Tutto senza esagerare, senza fanatismi dietetici.

Liliana nell’orto. Dapes inemptae.