18 settembre 2014: La parte finale della vita

Giunti quasi all’età di 65 anni si riprende in mano il De senectute di Cicerone. E con ben altro spirito di quando lo si prendeva in mano al liceo per tradurne pochi brani, forzatamente e svogliatamente. Ora mi soffermo su ogni frase, che leggo e medito come se fosse stata scritta oggi per me. E vi scopro segrete bellezze, come la similitudine che è al paragrafo II, 5.
Sbagliamo, dice Cicerone, a considerare la vecchiaia un’età senza più alcuna importanza, che dobbiamo solo sopportare e spesso compiangere per i malanni che reca con sé e per l’approssimarsi ineluttabile della fine. La natura, come ha concepite bene tutte le altre parti della vita, non può aver trascurata l’ultima, lasciandola senza valore e senza senso. Se agisse in tal modo, ed ecco la similitudine (che fa dire a Catone), agirebbe come un poeta senz’arte, a qua [natura] non verisimile est, cum ceterae partes aetatis bene descriptae sint, extremum actum tamquam ab inerti poeta esse neglectum.
Come intrepretare la similitudine? La natura è equiparata all’artista, al poeta. Essa non trascura nulla, conferisce ad ogni parte dell’esistenza il suo senso rispetto al tutto, così come un vero artista sa dare alla sua opera quell’unità formale in base alla quale ogni parte concorre alla bellezza del tutto. Approfondendo le relazioni analogiche su cui si basa la similitudine, possiamo dire che l’ultimo tocco, extremum actum, che l’artista dà alla sua opera è in molti casi quello che le dona compiuta perfezione. L’ultimo tocco ha la stessa importanza, se non addirittura maggiore, del primo abbozzo. Cézanne era ossessionato dal valore dell’ultimo tocco.
La similitudine di Cicerone, per la natura polisemica ed evocativa di ogni similitudine, ha la capacità di rivelare ulteriori significati. Essa ci dice che la vita può essere un’opera d’arte e che spetta all’ultima parte, che è la vecchiaia, darle quel tocco finale che le conferisce piena realizzazione, come i frutti dell’albero e le messi della terra, tamquam in arborum bacis terraeque fructibus.
Nel De senectute leggiamo raccomandazioni, regole di vita, istruzioni per l’uso, mirate a fare in modo che la nostra vecchiaia abbia la qualità dell’ultimo tocco dell’artista. Come? Con gli studi, divina studia, di cui nulla reca più gioia, nihil est otiosa senectute iucundius, e meglio se, grazie agli studi, che vanno tenuti in esercizio, agitatio studiorum, si produce qualcosa di utile per gli altri; con l’apprendimento ogni giorno di qualcosa di nuovo, quotidie aliquid addiscentem; col mantenere in esercizio la memoria; col prendere piacere alla contemplazione della natura e alla coltivazione dell’orto, permulta oblectamenta rerum rusticarum; con la moderazione dei desideri e dei piaceri; col mangiare e bere quanto basta per ristorare le forze, tantum cibi et potionis adhibendum ut reficiantur vires; con un poco di esercizio fisico (exercitatio); con una maturata coscienza di sé e del mondo; con la conoscenza e l’esercizio della virtù; con l’abbandono di ciò che è superfluo per ridursi a poche cose essenziali; con la ricerca e il gusto di ciò che è semplice e  naturale; con la memoria dell’esperienza e la dolcezza del ricordo. L’ultimo tocco che realizza felicemente la vita è di natura morale. Non consiste tanto nel fare, ma piuttosto nell’essere.
Tutto bene e bello ciò che dice Cicerone, ma non possiamo dimenticare che nella società del suo tempo, per la quale egli scrive e di cui difende i valori, l’anziano era figura autorevole, rispettato e ascoltato, capo della casa sino alla morte. Tutta diversa la realtà dei nostri tempi. Vivere da anziano è sicuramente più difficile oggi rispetto all’età di Cicerone. Chi ha una ricca e costante attività intellettuale è forse più avvantaggiato.
Comunque il De senectute contiene consigli validi anche per noi, anziani del terzo millennio. Serve solo una cosa: che gli dèi esaudiscano la nostra preghiera, di concederci almeno qualche anno di buona salute, così che abbiamo il tempo per il tocco finale dell’artista.