27 dicembre 2013: Lettura di Darwin

Terminata la lettura dell’Autobiografia di Charles Darwin (a cura di Nora Barlow, Torino, Einaudi, 2006), inizio ora L’origine della specie, Torino, Bollati Boringhieri, 2011. Vorrei poi leggere i Ricordi personali di Alexander von Humboldt, il libro che più di ogni altro, scrive Darwin, ha avuto su di lui influenza (in italiano: Viaggio alle regioni equinoziali del nuovo continente, Roma, Palombi 1986).
Ho bisogno di leggere qualcosa di scienza, per una questione di etica della mente. Per natura astratto, idealista, immaginifico, ho bisogno, come antidoto, di una prosa concreta, asciutta, tutta basata sull’osservazione di cose e di fatti, intessuta di procedure logiche  che stabiliscono ipotesi e leggi solo dopo la fatica di lunghe analisi, di classificazioni, di confronti. E lodo l’atteggiamento, lo stile, la parola dello scienziato, improntati a modestia, discrezione, senso del limite, oserei anche dire a vera umiltà, quando, costretti controvoglia a parlarne, discorrono di argomenti e di problemi di natura filosofica e teologica, atteggiamento e stile ben diversi da quelli di molti filosofi e teologi che con insopportabile sicumera costruiscono sistemi con pretesa di oggettività assoluta, che parlano di Dio con tale sufficienza e dimestichezza di toni e di parole, da mostrare inequivocabilmente tutta la loro fredda irreligiosità (contro il secondo comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano” peccano senza sosta tutte le Chiese)
Nell’atteggiamento dello scienziato, che viene spesso banalmente accusato da filosofi e teologi di empietà, di relativismo, di materialismo ecc., trovo un senso etico, di responsabilità e di maturità davanti alla vita e agli uomini, di gran lunga più sincero e più forte di quello, se ne hanno, dei chierici platonici di tutte le epoche.
Darwin: “Il mistero del principio dell’universo è insolubile per noi, e perciò, per quel che mi riguarda, mi limito a dichiararmi agnostico. Mi sembra che per un uomo che non abbia la costante certezza dell’esistenza di un Dio personificato o di una vita futura con relativa ricompensa, l’unica regola della vita debba essere quella di seguire gli istinti e gli impulsi più forti o che gli appaiono migliori. Allo stesso modo, ma inconsciamente, agisce un cane. D’altra parte l’uomo considera passato e futuro e confronta i suoi vari sentimenti, desideri e ricordi; e trova poi, d’accordo con il parere di tutti i più saggi, che la massima soddisfazione deriva dal seguire certi impulsi e precisamente gli istinti sociali. Se agisce per il bene altrui riceve l’approvazione degli altri uomini e conquista l’amore delle persone con cui vive, cioè la cosa più piacevole che vi sia sulla terra. A poco a poco troverà insopportabile obbedire alle passioni dei sensi piuttosto che agli impulsi superiori, che quando diventano abituali possono quasi essere chiamati istinti. Talvolta la ragione gli suggerirà di agire contro l’opinione altrui; non riceverà allora segni di approvazione, ma avrà la sicurezza e la soddisfazione di aver seguito la sua guida più profonda, cioè la coscienza. Quanto a me, credo di aver agito rettamente seguendo con fermezza la mia strada e dedicando la mia vita alla scienza. Non ho commesso nessuna colpa grave e perciò non ho rimorsi, ma molto spesso ho il rimpianto di non aver fatto di più per il bende degli altri” (p. 76).