31 gennaio 2014: La non-contemporaneità dei contemporanei

Leggendo in questi giorni l’ottimo Danubio di Claudio Magris (Garzanti 2006, prima edizione 1986), un libro che scorre, ricchissimo d’acque, per i campi della letteratura, della storia e della filosofia,  mi sono imbattuto alle pp. 40-43 in alcune suggestive e utili considerazioni sulla diversa percezione del presente che i contemporanei hanno a seconda dell’età, delle esperienze vissute, della memoria di eventi del passato, delle aspettative per il futuro. La Ungleichzeitigkeit, la non-contemporaneità che distingue e separa sentimenti, abitudini, giudizi, di persone e di classi sociali che vivono uno stesso presente è una delle chiavi della storia e della politica. Magris reca esempi della sua non-contemporaneità. Tutti ne facciamo esperienza. Nascono da questa non-contemporaneità molte incomprensioni di cui siamo al tempo stesso vittime e colpevoli. Viviamo tutti questo stesso presente, ma lo percepiamo in maniera diversa, come fossimo non-contemporanei.
Considerazioni così avvedute, quasi ovvie, non sono tuttavia tenute sufficientemente in conto dagli storici, i quali, ricostruendo fatti e condizioni del passato, sono portati a vedere tutti i soggetti protagonisti come contemporanei, mentre non lo sono.
Mi accorgo che anch’io, nel mio recente saggio sulla introduzione dell’osservanza agostiniana in Lombardia per opera di fra Giovanni Rocco da Pavia a metà del Quattrocento, pubblicato su questo sito web, non ho dedicato alcuna riga alle considerazioni della non-contemporaneità dei protagonisti di quelle vicende. Se ne avessi tenuto conto, il quadro sarebbe venuto più vivo, sicuramente più complesso.
Fra Giovanni Rocco, quando decide di ritirarsi con pochi confratelli nel Convento di S. Agostino di Crema nel 1439, ha già 49 anni. Per lui, nato nel 1391, che ha conosciuto da ragazzo le lotte tra gli Stati signorili italiani, gli scontri tra fazioni cittadine, il periodo drammatico dello scisma e del Concilio di Basilea, che da teologo dottorato ha percorso tutti i gradi della gerarchia dell’Ordine, potersi finalmente dedicare all’osservanza regolare è un punto d’arrivo della sua vita, l’appagamento di una esigenza interiore che aveva sempre dovuto rinviare per motivi di forza maggiore. Per i suoi primi seguaci, giovani diciottenni, l’osservanza regolare è invece un punto di partenza, protesi come sono, pieni di entusiasmo, verso il futuro. Donde la diversa percezione del presente, la non-contemporaneità dei due modi di vedere l’osservanza regolare, con tutto quello che ne consegue. Per fra Giovanni Rocco l’osservanza regolare deve essere un’esperienza di pochi confratelli che vivono in perfetta sintonia spirituale in un convento loro assegnato dal priore generale, restando sempre nel grande Ordine agostiniano; per i giovani confratelli l’osservanza regolare è un movimento che deve espandersi, crescere, in vista di una riforma generale di tutto l’Ordine.
Queste considerazioni sulla non-contemporaneità dei contemporanei che a diverso titolo furono coinvolti nel movimento di riforma dell’osservanza dovrebbero applicarsi anche ad altri soggetti, quali i detentori dei poteri signorili, le autorità politiche cittadine, i membri di famiglie aristocratiche, i possidenti e i mercanti, gli intellettuali, ecc. Si capirebbero meglio le ragioni che spinsero alcuni a frenare, a ostacolare il processo di riforma, altri a favorirlo, incoraggiarlo, sostenerlo.