18 maggio 2014: Ricordo di Franco Venturi, storico dell’Illuminismo

Sull’inserto culturale del Sole 24 Ore di oggi, un articolo di Edoardo Tortarolo ricorda lo storico Franco Venturi (1914-1994) nel centenario della nascita. Grande intellettuale, studioso dell’Illuminismo, a lungo collaboratore di Giulio Einaudi, Venturi è autore di un’opera fondamentale della storiografia europea, che lessi con entusiasmo, e tutta intera, ai tempi dell’Università: Settecento riformatore, 5 voll., Einaudi 1969-1984.
Da quella lettura ho imparato ad amare il Settecento, che è il secolo di principi illuminati, e del mio Kant, sul cui pensiero precritico feci poi la tesi di laurea; ho imparato a dare al concetto di “politica delle riforme” il suo corretto e fecondo significato, di cui mi servo ancora oggi con grande utilità; da quella lettura ho inteso come sia possibile cogliere nella storia, se studiata con metodo critico, la correlazione tra idee e azione senza dover presupporre un sistema filosofico che teorizzi tale correlazione.
A metà degli anni Ottanta il prof. Venturi capitò una mattina nella Biblioteca Civica di Bergamo. Io ero allora addetto alla Sala manoscritti, dove il professore prese posto. Avere di fronte, tra i lettori, uno dei più famosi storici italiani, che avevo letto e che stimavo molto, mi riempiva di stupore, mi dava piacere, mi metteva agitazione. Franco Venturi era venuto a Bergamo per consultare gli Atti di alcune Accademie del Settecento che solo noi possedevamo. Prendeva appunti su un quaderno con la copertina nera e il taglio rosso, che mi ricordava i miei quaderni delle elementari. Scriveva con la matita. Vestito con sobria eleganza, occhi neri, una barbetta grigia ben curata, all’incirca settantenne, era bello.
Ad un certo momento, preso dall’irrefrenabile desiderio di volermi mostrare cortese e compiacente, ebbi la sciagurata idea di dirgli che potevamo fare delle fotocopie del libro che leggeva. Alzati gli occhi, mi fissò con uno sguardo severo, e con tono quasi risentito:
– Non si fotocopiano i libri del Settecento! -. Presa la sberla, me ne tornai confuso alla scrivania.
Continuai per tutto il giorno a osservare il professore. Mi intrigava il modo col quale procedeva nella consultazione di quei rari Atti di Accademia. Leggeva e scriveva, leggeva e scriveva. Notavo che la scrittura ora consisteva nella copiatura di passi del testo, ora in personali considerazioni. Ogni tanto si alzava e veniva ad affilare la matita sopra il cestino della carta.
Alle 13.00 uscì dalla Biblioteca. Seguii i suoi movimenti dalla finestra che dà su Piazza Vecchia. Andrà a pranzo alla Taverna del Colleoni, mi dicevo. No, entrò nel bar che allora era all’angolo di Piazza Vecchia con via Gombito. Uscì con un panino che sbocconcellò camminando per Piazza Vecchia. Poi rientrò in Biblioteca, a continuare quel suo piacere di gesti lenti, quasi rituali, di lettura e scrittura, lettura e scrittura.