28 ottobre 2014: Don Bertocchi faceva don Abbondio e io uno dei bravi

Apprendo dal giornale che oggi 28 ottobre, domani 29 e giovedì 30, per espressa volontà del Ministero della Pubblica Istruzione nelle scuole italiane di ogni ordine e grado si dovrà dedicare almeno mezz’ora al giorno alla lettura ad alta voce di un libro. L’iniziativa deve servire a incoraggiare negli allievi il gusto per la lettura. Non ci dovrà essere alcuna ingerenza di analisi testuali, esercizi di comprensione, compilazione di schede e roba del genere. La sola e semplice lettura. Non so in quante classi si seguirà l’indicazione del Ministero. Elena mi dice che nella scuola dove lei insegna nessuno oggi ne ha parlato.
Ma per invogliare a leggere ad alta voce, esercizio che reputo di grande e mai abbastanza raccomandata utilità, serve un intervento del Ministero? Non dovrebbe far parte della consueta e ordinaria didattica? Non varrebbe l’obbligo di dedicarvi almeno un’ora alla settimana?
L’esercizio della lettura ad alta voce non deve, a mio parere, mirare all’acquisizione della sola capacità di leggere con scioltezza e con speditezza, ma anche, e soprattutto, dell’abilità di interpretazione del testo: dapprima cogliendo con le qualità lessicali e sintattiche anche quelle emozionali ed espressive che vi sono contenute; poi adeguando, nella lettura, alle individuate qualità del testo la naturale intonazione della voce, la variazione del tono, la gradazione dell’intensità, il giusto ritmo. Imparare a leggere bene ad alta voce non può che aiutare a comprendere meglio e dal di dentro l’energia e la bellezza di un testo. Nel contempo questo esercizio prepara e aiuta gli allievi a saper parlare domani in pubblico, a sapersi esprimere con proprietà e carattere, a saper ravvivare l’attenzione degli interlocutori, a rimanere per sempre amanti della letteratura.
Del valore dell’arte di saper leggere ad alta voce deve essere convinto l’insegnante. Egli poi, se a sua volta si sarà educato e formato, se possederà la dovuta sensibilità, saprà trasmettere agli allievi l’esempio e il metodo.
Ho avuto la fortuna di avere maestri che amavano leggere ad alta voce e leggere bene. Alle Elementari la maestra Merlin, triestina, ci incantava con le storie del suo Carso. Alle Medie don Morandi, uno scalvino appassionato di ascese alpinistiche, ci leggeva avvincenti racconti di montagna. Ma il lettore più formidabile fu don Bertocchi al Liceo. Ricordo con affetto questo professore, che aveva un tic singolare. Non portava come gli altri preti il collarino bianco ma un fazzoletto di seta nera che si riannodava di continuo al collo, compiendo con le mani un gesto improvviso e frenetico mentre sul viso gli compariva una smorfia che pareva voler dire – ora mi strozzo -. Oltre a questo tic, che noi studenti trovavamo di una bizzarra comicità, don Bertocchi possedeva il dono di leggere magnificamente. Durante le lezioni sembrava non aspettare che il momento di poterci leggere pagine e pagine dai Promessi sposi. Gli piaceva a volte ricreare la scena evocata dalla lettura chiamando, se si trattava di una scena dialogica, uno di noi studenti a fargli da spalla. Così imparavamo.
Un giorno volle rappresentare l’incontro di don Abbondio con i due bravi. Io, Bravi di cognome, fui scelto, non a caso, a fare uno dei due bravi di don Rodrigo. Mi misi “a cavalcioni” su un banco della prima fila, come mi trovassi sul famoso “muricciolo”. Don Bertocchi si portò in fondo all’aula e, “tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi”, venne giù lentamente tra i banchi “bel bello”, come stesse percorrendo una di quelle famose “stradicciole”. Era fantastico vedere come leggeva nel breviario, come si muoveva, come girava gli occhi. Nessun attore saprà mai interpretare così bene don Abbondio come fece quel giorno il nostro professore di Italiano, che era parroco in Sant’Andrea nella Città Alta. Istruito da don Bertocchi, sapevo come rendere al meglio la lettura della mia parte. Ricordo che quando proferìì le minacciose parole – Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai – ci misi così tanta forza d’espressione e mi atteggiai a un ghigno così beffardo che ebbi l’impressione che il povero don Bertocchi ne rimanesse veramente scosso, tanto che, miracolo, per alcuni minuti si scordò del suo tic.