30 giugno 2013: Viaggio nell’antico Marchesato di Saluzzo

Una splendida e istruttiva domenica italiana. E un po’ anche francese, perché quanto si vede a Saluzzo, terra di confine, è l’esito sorprendente e felice di intense e durature relazioni tra cultura italiana e cultura francese.
Volevamo anche vedere il Monviso e il giovane Po. Non abbiamo visto l’uno, non meritava di essere visto l’altro. Il primo, coperto da nuvole, non si è lasciato vedere per tutto il giorno. Il secondo, con nostra grande sorpresa, nel Saluzzese è un povero torrentello; si fa grande e famoso più avanti, quando riceve le abbondanti acque di altri fiumi.
L’Abbazia di Staffarda, fondata nel 1135 da Manfredo, primo marchese di Saluzzo, compare solitaria e maestosa nella rigogliosa campagna di ordinati frutteti. Il laterizio rosso spicca sull’azzurro del cielo. L’interno della chiesa, a tre navate su possenti pilastri, con bella luce, ci incanta per l’armoniosa cromia delle fasce di pietra alternate rosse e bianche. Nelle pertinenze dell’Abbazia ambienti rustici ancora abitati, odore di stalla e di fieno, cortili in terra battuta, un antico, naturale disordine che sa di vita. È da sperare che tutto resti così, semplice e vero, che non arrivi anche qui l’architetto valorizzatore, smanioso di pavimentare, di evidenziare, di intonacare, di ripulire, ben si intende con interventi “legggeri”, sempre benedetti da compiacenti e compiaciute soprintendenze.
Nel piccolo cortile che è tra il gotico ospizio dei pellegrini e il muro del chiostro è acceso un gran fuoco e su una graticola da Polifemo sono disposte varietà di carni, in attesa di essere cotte alla brace per un gran pranzo che si preannuncia lauto e festaiolo.
Alla Collegiata di Revello visitiamo il bel polittico di Hans Clemer, Sacra Famiglia, Re Magi, i santi Costanzo, Chiaffredo, Giovanni Battista, Pietro e Paolo, 1503: fregi dorati delle vesti, taglio dorato dei libri, espressione compunta e attonita dei santi, notevole la testa di s. Pietro.
Saluzzo nobile, elegante nei suoi palazzi antichi in laterizio, non ancora ridotta, per fortuna, a cartolina turistica. Bei portali in marmo bianco. Poggioli fioriti di gusto semplice e popolare. Dalla piazza dell’imponente Torre comunale, nella parte alta del borgo, l’occhio gode della vista della luminosa pianura saluzzese. Luoghi dell’Italia che amiamo.
Splendida l’abside della chiesa di S. Giovanni, unica testimonianza in Italia dell’arte gotica borgognona, aerea e leggera nel regolare e slanciato modularsi delle nervature e degli archi, raffinata nei particolari scultorei con testine di profeti e di sibille in pietra dolce di Sampeyre. Qui è il sepolcro di Ludovico II (1508), l’ultimo grande marchese di Saluzzo, amante delle arti e protettore di poeti e umanisti.
Poco distante dalla chiesa di S. Giovanni è il palazzetto Cavassa, rinnovato in forme rinascimentali agli inizi del Cinquecento da Francesco Cavassa, che fu vicario generale del Marchesato dapprima sotto Ludovico II poi, dal 1504, sotto la reggenza di Margherita di Foix. Anch’egli, come il suo signore, amante d’arte e di letteratura. Nei fregi decorativi delle stanze, sopra i monumentali camini, è affrescato lo stemma dei Cavassa, accompagnato dal motto “Droit quoy qu’il soit” e dall’impresa dei fiori blu del Cychorium intybus (fior di cicoria), che affiancano lo stemma, a sua volta sormontato dal sole che si affaccia tra nuvole scure. Nello stemma è il cavédano al naturale su campo blu; il cavédano è un pesce di acqua dolce che risale la corrente dei fiumi, chiamato nel dialetto saluzzese Chavasson. Un pesce che risale la corrente è simbolo di forza, lotta, coraggio (i pescatori aggiungerebbero furbizia e combattività). Il motto viene tradotto dagli eruditi in due modi: alcuni dicono “avanti a qualunque costo”, altri “il diritto a qualunque costo”. Opto per la prima versione, che mi pare più adeguata allo stemma. Anche sui fiori blu dell’impresa sono discordi i pareri, ma non c’è dubbio che trattasi di Cychorium intybus. Questi fiori di un blu intenso hanno la caratteristica di aprirsi il mattino al sorgere del sole e di chiudersi al tramonto: alcune corolle sono raffigurate nell’impresa aperte, altre chiuse. Non manca infatti il sole, raffigurato sopra lo stemma, che appare tra le nuvole: questa è l’impresa del marchese Ludovico II, che si vede anche, scolpita nella pietra, nell’abside di S. Giovanni, là addirittura piovono dalle nuvole gocce d’acqua e chicchi di grandine, penso a significare che il sole comunque la vincerà sul cattivo tempo, vale a dire che il vigore e la costanza del marchese sapranno aver ragione delle difficoltà della vita. Francesco Cavassa ha scelto quindi un’impresa, un fiore che si apre al sorgere del sole, legandola a quella del suo signore, cui unita prende pieno senso: il vicario generale è il fiore che si apre ai comandi e ai desideri del suo signore, il quale, anche tra le più gravi difficoltà, sa illuminare, rafforzare, rendere fiorente il Marchesato. Che i fiori del Cychorium intybus siano stati visti simbolicamente collegati al sole, lo si riscontra anche nell’erbario figurato (Herbe pincte) di Guarnerino da Padova della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, MA 592, dove a c. 63v è raffigurato il Cychorium intybus, anche qui con due corolle aperte e una chiusa, e un bel sole in alto che illumina la pianta, unica carta in tutto l’erbario in cui accanto alla specie vegetale è raffigurato il sole.
Nel salone di casa Cavassa, dove sono bellissimi stalli in noce con baldacchino a scomparti finemente intagliati, di gusto gotico francese, è esposta la pala con la Madonna della Misericordia di Hans Clemer, 1499-1500, pittore di origini nordiche fatto venire dalla Provenza nel Marchesato da Ludovico II. Originale l’invenzione. L’ampio manto blu tenuto aperto ai lati dai santi Giovanni Battista e Pietro forma con la veste broccata d’oro di Maria, con le braccia aperte di questa e le ricadenti, lunghe maniche della sua veste una geometria arabescata, che mi ha subito richiamata alla mente L’Incoronazione della Vergine di Quarton a Villeneuve-lez-Avignon; da Quarton, Clemer prende anche il motivo delle teste leggermente reclinate che pare atto di ossequio, di umile riverenza; tenerissimo il volto di Maria; severe e autoritarie, colte dal vero, le espressioni di Ludovico II e di sua moglie Margherita di Foix, inginocchiati ai piedi della Vergine (vedere: Hans Clemer, il Maestro d’Elva, a cura di Giovanna Galante Garrone e Elena Ragusa, Savigliano, L’Artistica piemontese, 2002).
Al Castello della Manta, di fondazione trecentesca, che Tommaso III lasciò alla sua morte nel 1416 al figlio naturale Valerano e che questi ingrandì e trasformò in dimora signorile, abbiamo visitato il famoso ciclo di affreschi commissionato da Valerano per onorare la memoria del padre. In una parte della sala sono raffigurati personaggi del romanzo cavalleresco Le chevalier errant, scritto da Tommaso II nel 1403-1404 alla corte di Francia. I personaggi, in costumi quattrocenteschi, sono diciotto, nove prodi e nove eroine; grandi al vero, in posizione frontale, ciascuno separato dall’altro da un albero cui sono appese insegne araldiche variopinte, stanno su un prato verdissimo, di cui si può vedere disegnata con minuziosa perizia ogni erba; le eroine, alcune veramente leggiadre e dal viso bellissimo, dal portamento cortese e dai gesti graziosi, mi paiono eseguite da una mano più raffinata di quella dei prodi, che sono più tozzi, statici e meno espressivi. Alla parete delle finestre il vivacissimo affresco con la Fontana della giovinezza. L’artista non segue alcuna regola di prospettiva, non cura le proporzioni, in compenso è dotato di vivace capacità narrativa, di grande immaginazione, di piacere per la vita, che interpreta con sottile ironia. Alcuni aneddoti sono veramente singolari e curiosi, come quello della vecchia, dal corpo rinsecchito e le tette cadenti, che si inginocchia per terra per permettere al marito, pure lui vecchio malandato, di entrare nella vasca della fontana appoggiandosi sulla sua schiena che gli fa da gradino, una scena comica e pietosa.
Mai più incontrerò nella storia della pittura scene come queste, che solo la bizzarria gustosa e fantastica del gotico internazionale poteva darci, mescolandovi naturalismo, piacere, fantasia, ingenuità, arguzia, ironia.

 

                         

Stemma Cavassa                                                                                           Fiori del Cychorium intybus (fior di cicoria)

 

Hans Clemer, Madonna della Misericordia con i santi Giovanni e Pietro

 

Castello della Manta, Affresco con la Fontana della Giovinezza (particolare)