26 agosto 2013: Profezia e immaginazione

La lettura di Steven Nadler, Un libro forgiato all’inferno. Lo scandaloso Trattato di Spinoza e la nascita della secolarizzazione, Torino, Einaudi, 2013 (ediz. orig. 2011), oltre a procurarmi una gradita occasione per un ripasso del pensiero di Spinoza, magistralmente analizzato nel contesto ambientale, religioso e culturale dell’Olanda del secondo Seicento, mi ha offerto lo spunto per l’approfondimento di un particolare tema del Trattato, profeti e immaginazione, intorno al quale Steven Nader discorre alle pp. 53-75 del suo libro. Se mi fossi imbattuto a suo tempo in queste pagine, ne avrei sicuramente accennato nella mia lezione su Isaia (pubblicata in questo sito: Il libro come oggetto di “ragionate similitudini” in Isaia, Seneca, Dante. Prima lezione: Isaia), dove sottolineo, nell’ultimo capitolo, la notevole capacità immaginativa di cui era dotato il profeta autore della similitudine di Is. 34, 4: «Il cielo si riavvolgerà come un rotolo scritto e tutte le sue schiere cadranno come cade il fogliame dalla vite e le foglie avvizzite dal fico».
Nello svolgimento del tema, che compare al Cap. II del Trattato, Spinoza intende confutare la dottrina del rabbino medievale Mosè Maimonide (La guida dei perplessi, XII secolo, edizione italiana a cura di Mauro Zonta, Torino, UTET, 2003), per il quale i profeti dell’antico Israele furono massimamente sapienti, cioè filosofi, e nel contempo, dotati di viva e perfetta immaginazione, massimamente capaci di cogliere e trasmettere la verità con immagini, visioni e sogni. Per Maimonide è vero profeta, e lo è al grado massimo, colui che è dotato di tre qualità: perfetta ragione, perfetta immaginazione, perfetta moralità. Il profeta è persona che sa tutto ciò che sa il filosofo, ma la cui conoscenza avviene per mezzo di immagini concrete: «Dopo di questo tu saprai che, quando questa emanazione intellettuale viene emanata soltanto sulla facoltà razionale, e nessuna parte di essa viene emanata sulla facoltà immaginativa – o per la scarsezza dell’emanazione, o per un difetto della facoltà immaginativa, presente già nell’indole originaria, che non può ricevere ciò che l’intelletto ha emanato – si ha la categoria dei sapienti speculativi. Invece, quando questa emanazione viene emanata su entrambe le facoltà insieme, ossia su quella razionale e su quella immaginativa, e la facoltà immaginativa si trova al punto massimo della sua perfezione innata, si ha la categoria dei profeti» (Zonta, p. 460). Il profeta, essendo dotato sia della facoltà intellettuale al massimo grado, sia della facoltà immaginativa, anch’essa al massimo grado, sia di perfetta moralità, è superiore al filosofo, il quale non sa andare oltre la semplice astrazione e teorizzazione, mentre al profeta è consentito con l’immaginazione di cogliere tra le cose correlazioni che al filosofo sfuggono, «perché tutte le cose danno testimonianza e significazione le une delle altre» (Zonta, p. 464). La profezia è visione. Il profeta «arriva a informare ciò che accadrà in futuro e a percepirlo come se si trattasse di cose già percepite dai sensi» (Zonta, p. 464). Questo perché «la facoltà immaginativa arriva a perfezionare la sua azione al punto da vedere la cosa come se esistesse all’esterno della mente, e la cosa creata da essa fosse arrivata nella mente mediante un giudizio formulato su una cosa reale» (Zonta, p. 456). La facoltà immaginativa è tuttavia una qualità naturale, «corporea», sottolinea più volte Maimonide (natura della facoltà immaginativa: «la conservazione delle percezioni sensoriali, il loro ordinamento, la loro imitazione» Zonta, p. 455), che non tutti possiedono perché fa parte dell’«indole originaria», innata, di una persona: non la si può acquisire né con l’attività speculativa né con la bontà dei costumi; ma da sola, senza ragione e speculazione, resta vana fantasia e vuota opinione. Il profeta che ha raggiunto il massimo della perfezione intellettuale mediante apprendimento ed esercizio, che è dotato di massima perfezione della facoltà immaginativa, posseduta per «indole originaria», che si è perfezionato al massimo grado nella vita morale rifuggendo piaceri e desideri di dominio e di affermazione di sé, «è il più alto grado dell’uomo, e il punto estremo di perfezione cui possa arrivare la specie umana» (Zonta, p. 455). Solo a questo massimo grado di perfezione l’uomo-profeta «non vede altro che Dio e i suoi Angeli» (Zonta, p. 458).
In considerazione del successivo svolgimento che il concetto di immaginazione conoscerà nella storia della filosofia, della poesia, dell’arte (ma anche della scienza, vedi quanto scrivo in questo Diario sotto la data del 7 agosto 2013 parlando di Weber e Darwin), concetto che da alcuni anni vado studiando, annoto, a proposito di Maimonide, tre spunti che mi paiono interessanti: a) l’immaginazione è facoltà conoscitiva: è un passo avanti rispetto alla filosofia antica, per la quale l’immaginazione era la capacità di ri-presentazione alla mente/memoria delle impressioni ricevute per mezzo dei sensi; b) l’immaginazione è qualità/dono naturale: non la produce l’attività speculativa e nemmeno una vita moralmente perfetta; c) senza la ragione l’immaginazione è vana fantasia, vuota opinione.
Spinoza nel Trattato teologico-politico è impegnato a contrastare la nozione di profeta-filosofo elaborata da Maimonide. Suo obiettivo è di ribadire la netta separazione tra l’àmbito religioso e quello filosofico. Se per Maimonide verità filosofica e verità rivelata non entrano mai in conflitto, in quanto sia il filosofo sia il profeta sono veicoli delle medesime verità, Spinoza vuole invece dimostrare la differenza sostanziale tra filosofia e profezia. Dal suo punto di vista verità filosofica e fede religiosa non hanno nulla in comune e l’una non deve ergersi a regola dell’altra. La distinzione tra filosofia e profezia si basa per Spinoza sulla distinzione tra intelletto e immaginazione. Riprende le considerazioni svolte da Maimonide sul ruolo fondamentale dell’immaginazione nell’attività profetica, ma le usa a proprio vantaggio, in senso polemico, per circoscrivere la profezia alla sola facoltà dell’immaginazione: «coloro che possiedono una grande forza di immaginazione, qui maxime imaginatione pollent, sono i meno adatti a conoscere le cose speculativamente, ad res pure intelligendum; al contrario, coloro in cui predomina l’intelletto, e lo coltivano sopra ogni altra cosa, hanno una potenza immaginativa più temperata, temperatam, costantemente in loro potestà, quasi come un freno perché non si confonda con l’intelletto» (Trattato teologico-politico, a cura di Sante Casellato, Firenze, La Nuova Italia, 1971, p. 35, in corsivo termini dell’originale latino). Per Spinoza non dovremo cercare nei profeti la conoscenza delle cose naturali. Rispetto alla conoscenza certa del filosofo che si basa su idee chiare e distinte, la profezia è per sua natura mutevole, soggettiva, perché si basa sull’immaginazione la quale risente del temperamento, temperamenti corporis, di ciascun profeta: «Dal fatto che la semplice, simplex, immaginazione non può, per sua natura , implicare la certezza, come le idee chiare e distinte, e che, per avere la certezza intorno ai fantasmi e a tutto ciò che immaginiamo, è necessario che all’immaginazione si aggiunga qualche cosa, cioè la ragione, ratiocinium, segue che la Profezia non può, per sé, implicare la certezza, perché come già dimostrammo, essa dipende dall’immaginazione […]. La Profezia è inferiore alla conoscenza naturale che non ha bisogno alcuno di segni, e che implica la certezza per sua propria natura» (Ivi, pp. 36-37). Contrariamente a quanto sostiene Maimonide, per Spinoza «i Profeti non hanno avuto una mente particolarmente perfetta, bensì una forza più vivida di immaginare, sed quidem potentia vividius imaginandi» (Ivi, p. 35). Su questo punto Spinoza concorda col rabbino spagnolo. Arriva anche a dire che i profeti «poterono percepire molte cose oltre i limiti concessi all’intelletto, eos multa extra intellectus limites percipere potuisse; perché con le parole e le immagini è possibile formare un maggior numero di idee che non soltanto con quei principi e con quelle nozioni sui quali è fondata tutta la nostra conoscenza naturale» (Ivi, pp. 33-34). Ma nell’impostazione generale del suo pensiero Spinoza sminuisce il valore espistemologico dell’immaginazione. Le idee dell’immaginazione, come quelle dei sensi, non sono una fonte di conoscenza certa e adeguata. Gli stessi profeti erano per lo più illetterati, incapaci di pensiero speculativo, provenienti dal ceto popolare se non addirittura contadino. Con la loro grande capacità immaginativa ci trasmettono un’immagine di Dio e delle cose rivelate dai tratti antropomorfi, ricca di metafore e di allegorie, un’immagine soggettiva, mutevole, che non può accordarsi con quella propria della speculazione filosofica, quale Spinoza ha elaborato nell’Etica, il Deus sive Natura, la più alta forma di conoscenza a disposizione dell’essere umano. Nell’argomentare il carattere soggettivo e mutevole della profezia, dovuto al fatto d’essere un prodotto dell’immaginazione, Spinoza ne illustra tre cause:

a) Pro ratione temperamenti: l’immaginazione produce rappresentazioni che variano da un profeta all’altro perché conforme al temperamento di ciascun profeta; se allegro gli si rivelano pace, vittorie, e tutto ciò che muove alla letizia; se di carattere triste, guerre, supplizi e ogni sorta di mali; «e così, secondo che il Profeta era misericordioso, mite, iracondo, o austero egli era più atto a queste che a quelle rivelazioni» (Ivi, p. 39).

b) Pro dispositione imaginationis: l’immaginazione produce rappresentazioni che variano da un profeta all’altro perché conforme all’ambiente nel quale ciascun profeta è nato e vive; se contadino, non vede che vacche e buoi; se soldato, comandanti ed eserciti; se uomo di corte, troni e cose regali. Spinoza anticipa le riflessioni di Goethe sul Lebensbezug, relazione di vita del poeta, di cui parlo nella Introduzione al ciclo di tre lezioni su Isaia, Seneca, Dante, pubblicata in questo sito. Goethe: «Se vuoi comprendere il poeta vai nella sua terra». Che alcuni profeti dell’antico Israele, come Isaia, fossero anche e soprattutto poeti non c’è dubbio. I loro testi sono intessuti di immagini, similitudini, figure, sentimenti. Ho letto recentemente anche in Italo Calvino qualcosa di molto simile a quello che dice Goethe: Eremita a Parigi, in Romanzi e racconti, a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2001, vol. III: Racconti sparsi e altri scritti d’invenzione, pp. 102-110 (testo pubblicato per la prima volta a Lugano nel dicembre 1974); a p. 102: «sono gli scenari dei primi anni della nostra vita che danno forma al nostro mondo immaginario, non i luoghi della maturità. Dirò meglio: bisogna che un luogo diventi un paesaggio interiore, perché l’immaginazione prenda ad  abitare quel luogo, a farne il suo teatro».

c) Pro eruditione et capacitate prophetae: l’immaginazione produce rappresentazioni che variano da un profeta all’altro perché conforme al grado di istruzione di ciascun profeta, alla sua erudizione, alla sua cultura, e quindi alle idee e opinioni acquisite con l’apprendimento; oggi diremmo, trasferendoci ancora in campo poetico, immaginazione conforme alle “fonti” del poeta, e allo Zeitgeist.

Riassumendo: «i Profeti videro Dio nel modo con cui ciascuno di essi era solito immaginarselo» (Ivi, p. 41).

Volendo rimarcare la natura soggettiva dei detti profetici, Spinoza approfondisce il concetto di immaginazione ripreso da Maimonide, storicizza la profezia dell’antico Israele, elabora una metodologia di analisi dei testi che ha nella personalità del profeta (il temperamento) e nella storia (ambiente, lingua, cultura..) due fondamentali princìpi ecdotici. Apre così la strada all’interpretazione storica dei testi veterotestamentari, e contribuisce, sicuramente a sua insaputa, a dare nuovo senso al ruolo della facoltà immaginativa nella creazione artistica.